Scorrendo la home di Facebook ne vedo di tutte, talvolta mi soffermo, mi prudono le dita, vorrei intervenire, a volte lo faccio e sbaglio. Capito nella pagina di un fotografo e trovo una foto che mi sembra lontana da ogni possibile etica. Ricordo il “non fotografare” di Ando Gilardi, lo cito ma l’autore, circondato da una truppa cammellata di ammiratori, mi dice che lui è esentato da quanto scritto da Gilardi. Il soggetto fotografato dormiva, non si è reso conto di venire fotografato. Potrei controbattere un sacco di cose ma decido di lasciar perdere, sarebbe inutile. In fondo è una foto unica, lascia il tempo che trova.
Molto peggio è quando mi capita di leggere di progetti fotografici di chi vuole pubblicare un libro di fotografie su un suo progetto. Qui veramente trovo di tutto.
C’è chi inizia fotografando il suo armamentario fotografico, compreso di Moleskine, bellissima biro e quant’altro, e afferma che partirà per realizzare un molto vagamente dichiarato progetto. Che senso ha? Un progetto prima si porta a temine, poi se ne parla. Non sia mai che rubino il progetto, cosa bizzarra, evento raro.
Oppure peggio che si smetta di portarlo avanti, creando un interesse negli amici/fans/sostenitori, che sarà deluso. È una tipica operazione di marketing creare interesse, desiderio, aspettative, per un prodotto, poi però il prodotto deve uscire sul mercato, altrimenti la ditta ci farà una pessima figura.
Un fotografo non è una ditta, se il progetto non esce ci farà lo stesso una pessima figura. Per fortuna sul web, sui social, le promesse affondano nel dimenticatoio in un attimo. Decidere come diffondere un progetto è altrettanto importante, deve essere una scelta fatta sin dall’inizio. Della realizzazione di un progetto ho parlato in un precedente articolo.
Ho anche un poco approfondito in un altro articolo i problemi inerenti l’auto-produzione di un libro, tuttavia ci sono vari altri argomenti da approfondire a proposito.
Di che genere di progetto si tratta? Metti sia un libro di glamour/nudo artistico serve uno storytelling? Probabilmente no, a meno che i vostri incontri fotografici non siano particolarmente interessanti sotto il profilo narrativo. Diversamente, in altri progetti può esserci un racconto sincronico. Ovvio che sarà un sincronico relativo, in genere il fotografo non dispone del dono dell’ubiquità, non può essere in due o più luoghi contemporaneamente, è cosa riservata a pochissimi.
Tuttavia si può narrare fotograficamente quanto avviene più o meno nello stesso lasso di tempo in una città, mettere a confronto quartieri diversi, volendo addirittura città diverse.
E quello che ha fatto Bruno Panieri col libro “Ma che bella città” che continua ad evolversi aggiungendo sempre nuovi interessanti tasselli alla conoscenza di Roma. Anche in questo caso uno storytelling, un racconto che si dipana nel tempo non è necessario. Tuttavia è necessaria una approfondita indagine storico-urbanistica, paesaggistica, cosa che Bruno ha fatto e continua a fare ottimamente. Diverso è l’approccio diacronico. L’evoluzione nel tempo, di un luogo, una vicenda umana ,ecc.
Un racconto in poche immagini può essere una esercitazione piacevole, propedeutica ad imparare a raccontare fotograficamente, ovviamente è poco adatto per venire pubblicato su un libro, potrebbe al massimo diventare una fanzine.
È in ogni caso utile mettersi dei paletti per focalizzare la propria attenzione. Così ho fatto vari anni or sono nel corso di una piccola uscita con l’amico fotografo Donato Chirulli. Lui testava una fotocamere per la street, io avevo con me una Olympus OM-D con 20mm. Paletti:
- fotografare solo turisti con una pianta di Roma in mano.
- non guardare nel mirino o nel display. Scattare immaginando quello che l’obiettivo stava inquadrando.
Insomma un giochino.
Che sia un racconto in poche immagini o un racconto che attraversa anni, il rapporto col tempo che scorre è importante, anche nella impaginazione.
Un esempio di racconto diacronico, tanto per autoincensarmi è “Ultima fermata All’Idroscalo”, circa 15 anni di riprese, stesso luogo. In un progetto del genere, come del resto in un articolo per una rivista è importante l’immagine di apertura, come spiega Francesco Cito. Per un libro fotografico sarà la fotografia di copertina.
È importante la tematica affrontata in un progetto, in un libro fotografico? Forse non del tutto.
Per esempio Fulvio Roiter ha pubblicato, venduto e continua a vendere una miriade di libri su Venezia. “Essere Venezia” pubblicato nel 1977 si può ancora trovare in vendita a cifre oscillanti tra i 15 e i 40€ se in buono stato.
Possono ancora venire venduti nuovi libri fotografici su Venezia? Forse sì, servono libri glamour con quelle foto belle ma stucchevoli per gli intellettuali, che però piacciono ai turisti. Si potrebbero vendere nelle librerie del centro storico o tramite i canali di Feltrinelli. Non è del tutto facile ovviamente.
In altri casi la scelta di un argomento molto particolare, poco o per nulla conosciuto può essere importante. La scelta di Valeria Sacchetti con “Journey to the Lowlands“ è stata un’ottima scelta, un progetto durato 7 anni di riprese, sfociato in uno splendido libro, in vendita a 41€
Spulciando nella mia esile raccolta di libri fotografici ho trovato “INFANZIE” pubblicato da Farenheit 451 nel 1997, di Sebastiana Papa.
“Ogni singola foto raccolta in questo volume (1966 – 1996), racconta storie di gioie, noie, paure, solitudini, allegrie, imbarazzi e dolori; tutti estremi, come estremi sono i sentimenti dei bambini che non conoscono ancora le difese del tempo.
Sebastiana Papa (1932 – 2002) è stata una fotografa italiana di fama internazionale. Instancabile viaggiatrice, ha pubblicato decine di libri e collaborato con numerosi giornali italiani e testate internazionali. Le sue fotografie sono state acquisite da importanti istituzioni italiane e straniere. Ha esposto alla Biennale di Venezia, a New Delhi, Madras, Gerusalemme, Alessandria d’Egitto, Istanbul, Rio de Janeiro, Mosca, Tel Aviv, Tunisi, Roma.”
“INFANZIE” è ancora reperibile sul sito della casa editrice al costo di 18€. Introdotto dal saggio “Riflessioni sui bambini” di David Grossman, considerato tra i più grandi scrittori e romanzieri contemporanei, forse noto ai più per “Che tu sia per me il coltello”
L’impaginazione è buona, la stampa delle fotografie potrebbe essere assai migliore, il retino è assai evidente, tuttavia rivela gli anni in cui venne stampato. Allora era quasi impossibile ottenere una stampa tipografica buona senza ricorrere alla stampa a due pellicole, due toni di nero, il che avrebbe fatto lievitare i costi e non era alla portata di molti stampatori. Attualmente per un basso numero di copie si possono ottenere ottimi risultati in stampa digitale.
Potrebbe essere un tema ancora interessante? Difficile saperlo a priori, certo il suo approccio è particolare, rivela fotograficamente gli opposti estremi che convivono nella mente dei bambini a prescindere dal Paese in cui sono nati.
Una cosa è importante appurare, e qui chi fosse interessato a realizzare un progetto deve farsi un esame di coscienza. Perché? Poi ovviamente come?
Può essere a scopo auto-promozionale, indicato solo per chi lavora professionalmente. In questo caso anche se è un investimento in perdita potrebbe avere un senso. Quanto può un professionista investire in perdita? Dipende da quanto guadagna. In ogni caso dovrà pubblicarlo presso un buon editore, deve venire distribuito adeguatamente.
A un grande editore interessa che un libro si venda, poco importa che Fabio Volo spesso non sia considerato uno scrittore eccellente. Vende e va bene così. Ovviamente solo fotografi sufficientemente noti vengono presi in considerazione dai grandi editori, a prescindere dal loro effettivo valore.
Vale la pena per un fotografo assai meno noto ricorrere a un piccolo editore? Dipende, se cura una sufficiente distribuzione, almeno nei più importanti eventi fotografici e presso punti vendita selezionati, può essere il caso, altrimenti no.
Quindi ok meglio puntare sull’auto-produzione, usufruendo di una delle molte piattaforme possibili.
Torna imperiosamente la domanda: perché? Il fotografo ha veramente qualcosa di nuovo da dire? Sarebbe interessante per l’autore delle fotografie esaminare i libri fotografici usciti sulla tematica che ha scelto per avere una consapevolezza maggiore di quello che intende produrre.
Può essere anche per semplice soddisfazione personale, per mettere una pietra miliare sul proprio percorso nella fotografia, per chiudere una porta e aprirne un’altra.
La vendita del libro riuscirà almeno a coprire le spese ? Dipende da quanto è ampio il giro di affezionati, amici, parenti. Qui tocca fare i conti della serva, essere troppo ottimisti pesa sul portafoglio. Le prime 40-50 copie possono andare via facilmente, ma quante stamparne? A che prezzo di vendita?
Penso non sia ragionevole stampare più di 150 copie, prezzo di vendita massimo 25€. Magari ci vorranno uno o due anni di presentazioni per vendere tutte le copie. Se non ci si vuol sbattere a destra e manca per presentare il libro e firmare ogni copia col proprio nome e una dedica affettuosa al caro amico, conosciuto due minuti prima. Nel caso è indispensabile comperare una bella stilografica, fa scena e aiuta a vendere.
Meglio limitarsi a stampare assai meno, per venderli intorno ai 20€. Se il costo stampa è di circa 7€, pur non vendendoli tutti, si rientrerà nelle spese. Inutile prendersela con il mondo dei social che non capisce la nostra arte o bravura. Senza un mercato maturo (in Italia non c’è) pubblicare un libro è un’operazione rimessa unicamente alla volontà di chi lo pubblica.
Servirà a qualcosa fare sacrifici pur di pubblicarlo ad ogni costo? No, non servirà.
Ecco, penso che i punti fondamentali siano solo tre :
- guardarsi intorno, avere una conoscenza almeno discreta di quanto pubblicato, del mercato, costi, diffusione.
- rispondere sinceramente ai propri perché.
- sapere dove si desidera arrivare, avere un target da raggiungere.
Il “come” verrà per logica conseguenza.
Fortunatamente non sono il solo a pensarla così, sono cose dette millanta volte da fotografi assai più importanti di me… eppure raramente vengono messe in pratica.
A questo proposito è interessante un video realizzato da NOC, inerente un ws di Francesco Cito: “Prima cosa, poi come, l’idea dietro la fotografia“ che consiglio di ascoltare attentamente.
“In Inghilterra mi chiedevano: tu questo lavoro come me lo presenti? Quale sarà la foto di apertura? La foto di apertura è quella che ti immette nella storia, se non eri in grado di raccontare quale foto di apertura fosse quella che proponevi il lavoro non ti veniva concesso […]
Il bravo fotografo deve essere un buon conoscitore sia della cultura che dell’arte. Ragazzi la prima cosa che dovete fare è andare a frequentare i musei, sopratutto la pittura. Tutto quello che noi portiamo in fotografia è già stato fatto in pittura. Rembrandt e Bruegel hanno fatto in un certo senso reportage fotografici. Caravaggio nell’ambito della luce…”
“La fotografia riflessiva è quella in cui ognuno di noi ha tutto il tempo possibile per fotografare. Se vado a Milano non inizio subito a fotografare, devo capire dove sono, voglio capire come fotografarlo e perché devo fotografarlo…”
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