Ho iniziato a lavorare da professionista intorno al 1979, facendo servizi fotografici per un’agenzia, villaggi turistici e campeggi. Servivano per dépliant turistici e par articoli su una rivista di settore. Di conseguenza dovevo anche scrivere articoletti per la rivista. Sul finire dei miei 29 anni avevo una coscienza quasi immacolata, non portavo un eskimo innocente.
Giravo in su e giù per l’Italia, in Dyane 4, che ci voleva una discesa e vento a favore per raggiungere i 100km/h. L’Autostrada del Sole era una noia sconfinata, interrotta solo dai Tir che sorpassandomi facevano ondeggiare l’auto, così di tanto i tanto abbandonavo l’autostrada per raggiungere una qualche cittadina o paesino piacevole.
Basta scattare qualche foto passeggiando per avere quei pochi scatti necessari a scrivere un articoletto, così tanto per arrotondare lo stipendio che avrei avuto due mesi dopo, se tutto andava bene, tanto ci voleva dal momento della fotografia al momento della retribuzione.
Ogni tanto mi capitò di poter realizzare servizi più ampi, tipo 16 pagine sull’alto Molise o altri. Era un viaggiare assai diverso allora, non c’era Internet, non si poteva prenotare, si andava all’avventura per quanto minima fosse. In bassa stagione era persino difficile trovare da dormire. In alcuni luoghi gli alberghi aprivano solo in estate. Oggi come ben sapete tutto è cambiato, di conseguenza sono cambiati i reportage di grandi viaggi, o semplici escursioni per un w-e.
È sufficiente alimentare con un po’ di fantasia una buona ricerca con Google, per scrivere un articolo di un viaggio in terre selvagge e lontane, con tanto di mappe e tappe, luoghi da visitare, dove mangiare, dove dormire ecc. Molto pratico indubbiamente, il difficile magari poi è vendere l’articolo, dato che può venire realizzato da qualsiasi redazione di qualsiasi rivista, cosa che per altro succedeva già in parte in quegli anni lontani.
C’è chi dice che le riviste pubblicano gratuitamente articoli di chi li propone ed è già felice se gli pubblicano due foto col nome. Stento un poco a crederci, una rivista un minimo seria paga sempre le foto e i servizi. Il fatto è che se si vuole farsi pubblicare un articolo ci vogliono foto eccellenti, che raccontino qualcosa in modo poco visto, e testi a corredo ben redatti ed approfonditi.
Inutile che uno si presenti a una qualche redazione con un curriculum più o meno farlocco e una scheda di memoria zeppa di foto esprimendo con voce stentata un “vorrei…” Verrà messo più o meno garbatamente alla porta.
Troppi pensano ancora alla fotografia come a un loro parto artistico, meglio pensare ad un servizio come a un prodotto da vendere. Inutile anche presentarsi ad una rivista con espressione disincantata, la sahariana mille tasche e una Leica al collo, stile “Professione: reporter”, il 1975 è passato da quel dì.
Ci vogliono capacità non da poco, si acquisiscono solo col tempo, con forza di volontà, stingendo i denti. Impossibile diranno in molti, preferisco credere che sia possibile, ma non per tutti ed è assolutamente giusto che sia così.
Graziano Perotti, l’ho conosciuto intorno al 2014, abitiamo un poco lontanucci uno dall’altro, difficile incontrarci di persona. Gli ho chiesto di parlarci un poco del suo lavoro, è uno dei pochissimi che sta in perenne attività. Consiglio di leggerlo attentamente e di osservare con attenzione le sue fotografie. C’è un enorme differenza tra guardare, vedere ed osservare.
Osservando le sue foto si vede umanità e rispetto nell’approccio, nulla viene drammaticizzato inutilmente. Dove può sembrare dramma, come in certe tradizionali antichissime manifestazioni religiose in Sardegna, per il carnevale, come Su Battileddu a Lula, o i Thurpos a Orotelli, è partecipazione ad una recita sentita della quale è importante conoscere il significato antropologico.
O come a Els Enfarinats, una famosa festa tradizionale, che consiste in una battaglia incruenta a base di farina e uova che avviene ormai per tradizione da oltre 200 anni in Spagna a Ibi. Graziano l’ha documentata per Travelglobe giornale col quale collabora da anni. A Els Enfarinats ha anche tenuto uno dei suoi seguitissimi workshop per Travelglobe Experience.
Dove il dramma c’è veramente, come in certi suoi reportage sociali, è vita che scorre, senza perdere la capacità di sorridere, essere comunque magari felici del poco che si ha.
Cos’è il reportage, come idea generale, per Graziano, cos’è un reportage lo lascio raccontare a lui…
Il Reportage
Reportage per me significa raccontare per immagini una storia , eventi, persone, luoghi e cose, il mondo circostante. Per voglia di comunicare, per l’esigenza di denunciare o solo per curiosità e approfondimento.
Per me significa esprimere il disagio o la gioia che sento di fronte ai fenomeni del mondo, dall’ingiustizia sociale alle meraviglie della vita che ci circonda, dalle mani che stringi, dai crimini delle guerre e dalla ingiusta distribuzione della ricchezza nel mondo, ai segnali delle nuove generazioni, dagli eventi sociali a quelli culturali, dalle grandi avventure ai viaggi, piccoli o grandi che siano.
Tutto questo deve anche essere raccontato con approcci molto diversi, i temi sono profondamente diversi, rimane come punto fisso la sincerità del racconto. La fotografia può essere anche inganno e questo non deve mai succedere, c’è un etica che ogni fotografo deve rispettare come se fosse la sua Bibbia.
“C’è una liberatoria morale oltre a quella che devi avere dei soggetti fotografati, in particolare quando fotografi temi sociali, spesso ti trovi sul filo del raccontare o non raccontare, se scattare quella terribile foto serve o non serve, io preferisco non pubblicarla ed inserire nel testo quell’attimo.
La parola rispetto è quella che più mi fa paura, cerco sempre di tenermela bene in testa.
A volte ho rinunciato a foto terribili ma che un bravo fotografo dovrebbe scattare.
Forse è un mio limite, forse va bene così, tutti noi alla fine facciamo i conti davanti allo specchio della nostra anima”.
Reportage vuol dire scoprire e approfondire qualcosa per se stessi e comunicarlo agli altri, significa avere tra le dita un bagaglio enorme di conoscenza che va tramutato in un modo di essere, di raccontare, cercare di camminare per il mondo anche con le scarpe di altri, essere un ‘racconta storie’ in immagini e poi fare un editing.
Negli anni alcuni giovani fotografi mi hanno chiesto consigli sul come fare un editing, magari hanno letto, si sono informati, hanno partecipato a workshop, pure con me.
Già l’editing, l’atto finale, sembra facile spiegarlo in generale, per farlo devi conoscere bene il direttore e il photo editor che te lo visiona, devi conoscere anche te stesso e non rinunciare a troppo per accontentare chi te lo visiona, poi ti lamenti che non ti hanno capito, e non pensi di aver portato un editing perfetto ma al magazine sbagliato, non conosci bene la linea editoriale e tutto quello che pensavi crolla come tanti mattoncini in precario equilibro.
Tu non mollare, se hai un sogno ed è quello di fare il fotografo, credici, ben sapendo che è durissima ai giorni nostri vivere vendendo fotografie, senza avere un altro comodo lavoro con ferie pagate e pure la malattia è un impresa d’altri tempi, ma tu credici, in tanti quel sogno alimentato da tanta fatica, alla fine lo hanno colto.
Un reportage: Fisherman. La fatica del mare.
E’ il lavoro più antico del mondo, la pesca in tutte le sue varianti, sono milioni i villaggi nel mondo che vivono con la pesca, che mandano a scuola i loro figli con il pesce pescato, ne ho incontrati in tante latitudini, sono gente fiera, a volte con caratteri duri, temprati forse dalla fatica, dal sapere che quel giorno la fortuna di una buona pesca vuol dire sopravvivere alla giornata, mantenere la famiglia, spesso numerosa.
A volte il mare non gli permette di uscire, anche il vento che alza onde con cui non riescono a combattere. Sono uomini fieri, sia che peschino con una lancia nella laguna di Sri Lanka o grandi marlin e tonni a Kizimkazi nella famosa isola delle Spezie al largo delle coste della Tanzania, la bellissima Zanzibar.
La pesca ha in sé il senso del mistico da secoli, nel Vangelo si racconta di pescatori disperati e di una pesca miracolosa. “Gesù vide due barche ormeggiate alla sponda, i pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi sulla barca, si mise ad insegnare alla folla. Quando ebbe finito di parlare disse a Simone: «Prendi il largo e calate le reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla, ma sulla tua parola getterò le reti».
Quante reti e quanto sfidare onde tutti i giorni fanno i pescatori di Zanzibar e di Sri Lanka, le loro gesta le puoi trovare anche nella letteratura più famosa, non importa il luogo, è il senso della pesca e la figura del pescatore che emerge sempre in tutta la sua forza.
Il grande Hemingway le ha descritte in pagine memorabili, la pesca è come una metafora della vita, “Ora non è il momento di pensare a quello che non hai, pensa a quello che puoi fare con quello che hai”.
C’era un pescatore anziano a Zanzibar, il giorno prima fotografato con il suo grande marlin in spalla, le ginocchia piegate dalla fatica mentre arrancava sulla spiaggia in salita e il villaggio come meta, anche a lui Hemingway ha dedicato una frase con mille sfumature “Tutto in lui era vecchio, tranne gli occhi che avevano lo stesso colore del mare ed erano allegri ed indomiti”.
Da sempre la figura del pescatore mi ha affascinato, anche le loro donne ad attenderli sulla spiaggia, in silenzio, accarezzate dalla brezza del mare, le vedi immerse nei lor pensieri, gli occhi che si illuminano quando all’orizzonte spuntano le vele. Stanno rientrando e un altro giorno si conclude felicemente.
I pescatori di Zanzibar e di Sri Lanka hanno culture differenti, religioni differenti, i luoghi dove vivono sono differenti, ma i gesti non cambiano, i sistemi di pesca sono tra i più vari, ma la speranza è la stessa, la grande padella colma di riso e pesce non è differente, non ha confini.
A volte, quando non possono uscire per giorni in alto mare, ci pensano madri e figli a pescare nella bassa marea, a cercare piccoli pesci e molluschi e a volte questo basta per tirare fine giornata, sperando nel giorno dopo, in un’alba migliore.
Quella vela sull’orizzonte sta tornando gonfiata dal vento, sta affrontando la barriera corallina, è l’ultima fatica condivisa, sulla barca e nella vita, al villaggio sperano sia colma di pesce, in attesa sulla riva ci sono le famiglie, la loro vita in una giornata, come succede da secoli ai pescatori di tutto il mondo.
“I pescatori sanno che il mare è pericoloso e le tempeste terribili, ma non hanno mai considerato questi pericoli ragioni sufficienti per rimanere a terra”.
Vincent van Gogh. Lettere a Thèo.
Potrei aggiungere su Graziano una imponente, esaustiva, biografia preferisco i pensieri che gli ha dedicato Francesco Cito, suo grande amico.
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