Fotografia di Architettura, il Progetto. Luca Massari.

Di fotografia di architettura ho parlato in occasione di vari articoli tuttavia sono necessari ulteriori approfondimenti. Se non si agisce in ambito professionale è lecito tutto, se in un viaggio siete affascinati dall’incontro con un’architettura, se vi colpisce vi stimola, rappresentatela come meglio credete, la rappresentazione è una mediazione tra quello che avete davanti all’obiettivo e il vostro modo di essere e di percepire dai vostri scatti possono in ogni caso uscire  fotografie piacevoli, anche belle.

Se invece lavorate professionalmente per una committenza specifica la situazione cambia radicalmente, in questo ambito la fotografia deve essere buona non solo bella, ove buona significa funzionale, cioè aderente alle esigenze del committente. Le riviste di architettura sono esigenti, se si deve mostrare l’opera di un architetto al fotografo non sono permessi molti voli pindarici. Occorre tuttavia distinguere tra riviste che parlano  anche di architettura e riviste destinate ad essere sfogliate da architetti o studenti di architettura.

 

© Luca Massari. Concattedrale Gran Madre di Dio, Taranto, Arch. Gio Ponti 1970

 

Ricordo di aver visto da una qualche parte sul web un servizio di architettura d’interni realizzato da Henri Cartier Bresson per Vogue. Il grande maestro della fotografia scattò fotografie  adatte a quel target, una raffinata rivista di moda destinata a un pubblico femminile, non specialistico. In relativo tali fotografie possono essere considerata buone, in assoluto non sarebbero state adatte ad una rivista di architettura.

Come ho scritto in un precedente articolo può essere interessante una documentazione interpretativa del soggetto architettonico. Per l’architettura Barocca abbiamo visto che tale interpretazione può essere anche visionaria, perché lo stile barocco in fondo in parte era anche visionario.

 

© Luca Massari. Padiglione delle feste di Castrocaro Terme (FC). Diego Corsani e Tito Chini. Art decò 1938

 

László Moholy-Nagy collaborò con Walter Gropius curando e progettando con Walter Gropius la serie di Bauhausbücher pubblicata dalla scuola, diventando il rappresentante per eccellenza della fotografia del Bauhau Moholy-Nagy visse dentro quel movimento importantissimo, il Bauhaus non fu solo una scuola, ma rappresentò anche il punto di riferimento fondamentale per tutti i movimenti d’innovazione nel campo del design e dell’architettura legati al razionalismo e al funzionalismo, facenti parte del cosiddetto Movimento Moderno.

Le fotografie di Moholy-Nagy nascevano dentro quel movimento e lo interpretavano coerentemente. Se però dovete documentare l’architettura razionalista, in Italia è assai diffusa, praticamente ovunque se ne trovano interessantissimi  esempi. Però non potete fotografarla come la fotografò Moholy-Nagy. Non siete lui, non siete immersi nello stesso movimento culturale, probabilmente le fotografie di tali soggetti architettonici  dovrebbero servire a documentarle per fini di studio.

In altri termini il fotografo di architettura deve stare sempre un passo in dietro, sulla scena ci deve essere l’architetto progettista non il fotografo.

 

© Luca Massari. Padiglione delle feste di Castrocaro Terme (FC). Diego Corsani e Tito Chini. Art decò 1938

 

Qualche consiglio tecnico:

è opportuno saper leggere i progetti di architettura nel loro disegno quindi, se non la pratica, almeno un  buona infarinatura su cosa sia il disegno prospettico sarebbe bene averla.

Venendo alla tecnica di ripresa. Indubbiamente un banco ottico può essere assai utile ma non è strettamente indispensabile, anche se aiuta a comporre meglio l’inquadratura dato che vedendola al contrario e con i lati invertiti bisogna concentrarsi per inquadrare bene  e fare quei piccoli spostamenti necessari, il tutto su cavalletto. Tuttavia il banco richiede anche esercizio nello spostamento dei corpi mobili e gli scatti a pellicola piana costano molto. Approfondire l’argomento in questa sede non è il caso. Attualmente molti scattano in digitale, esistono vari obiettivi tilt&shift idonei per le riprese di architettura, in casa Canon e in casa Nikon, ce ne sono anche di produttori universali come il Samyang T-S 24mm f/3.5, ottimo e di prezzo abbordabile.

Samyang produce tale obiettivo anche per Fujifilm APS-C e per in formato micro 4:3 però la focale di 24 mm su apsc diventa in pratica circa 35 mm mentre su micro 4:3 diventa un 48 mm. Attualmente quindi tali obiettivi sono consigliabili solo su full frame, diventano quasi inutili su formati di ripresa minori.

Il primo (almeno credo ) decentrabile  prodotto per formato 135 fu il famoso Nikon PC Nikkor 28mm f3,5.

Era solo decentrabile, cioè shift, non tilt. Attualmente la focale più diffusa per i tilt/shift è 24mm. Indubbiamente è una focale particolarmente adatta a riprese di architettura, inquadra un angolo di campo di circa 84gradi, il 28mm poco più di 75 gradi, esiste un pratico simulatore di angolo di campo.

 

© Luca Massari. Padiglione delle feste di Castrocaro Terme (FC). Diego Corsani e Tito Chini. Art decò 1938

 

Ok per lo shift, serve a decentrare l’ottica verso l’alto e quindi inquadrare  la cima del palazzo che altrimenti verrebbe tagliata dall’inquadratura se tenete il dorso della fotocamera in bolla. Si può usare anche in altri modi, decentrando lateralmente per inquadrare uno specchio senza venire riflessi dentro, ci sono anche altri usi interessanti ma non è questa la sede.

Però il tilt cosa serve? Serve al basculaggio dell’ottica, per aumentare la profondità di campo in caso di riprese macro. Per riprese di architettura non serve a nulla dato che anche a f/4 la profondità di campo più che sufficiente per normali riprese di architettura.

Ok, ok, ora ci sarà il solito pignoletto che storcerà il naso dicendo che col tilt si possono fare riprese come se fossero finti modellini. Ah, oh, stupendamente inutile.

 

© Luca Massari. Ex Gil Forlì. Arch. Cesare Valle 1935

 

Dunque benissimo col decentrabile? Insomma insomma, sì il palazzo entra nell’inquadratura, sì non ci sono linee cadenti se si tiene il dorso in bolla. Però decentramenti  sino al limite provocano una accelerazione delle linee prospettiche in alto, diventano innaturali. Dunque meglio decentrare poco.

Se il palazzo non c’entra dei risultati simili si possono ottenere con focali più grandangolari, tipo il 18mm che inquadra 100 gradi di angolo di campo. Regola: cercare sempre di fotografare architettura con l’ottica meno grandangolare possibile (quindi in genere mai con il teleobiettivo), con un 35mm la resa prospettica sarà più naturale anche se raramente il 35mm è sufficiente.

 

© Luca Massari. Concattedrale Gran Madre di Dio, Taranto, Arch. Gio Ponti 1970

 

Se non avete un decentrabile potete correggere le linee cadenti in photoshop e quindi scattare con la fotocamera non in bolla, ma inclinata verso l’alto… però, c’è sempre un però…

Una volta corrette le linee cadenti, le proporzioni originali larghezza x altezza dell’edificio saltano e solo conoscendone le proporzioni originali potete tentare di ricuperare le proporzioni corrette. Insomma l’ottenere proporzioni realistiche, simili il più possibile alle proporzioni dell’edificio da riprendere è un giochino di sottili equilibri.

 

© Luca Massari. Ex Collegio Aeronautico Forlì. Arch. Cesare Valle, Statua di Icaro

 

Considerate anche che spesso un edificio alto con linee cadenti totalmente corrette può risultare comunque improbabile, lo sapevano benissimo gli antichi greci quando scolpivano le colonne. Una leggera convergenza delle linee cadenti è più piacevole, l’occhio, anzi la mente, corregge le linee convergenti, ma se sono troppo corrette, se ne accorge, sembrano innaturali. La visione è una cosa bizzarra e complessa.

In sostanza si possono fare buone riprese di architettura (con le dovute attenzioni su menzionate) anche con uno zoom 24-85 o con un 16-50 mm su apsc, magari adottando, per i casi in cui effettivamente è indispensabile, un maggior angolo di campo, un 20 o un 18mm, o un 14 mm su APS-C.

 

 

Come detto, meglio non esagerare, l’accelerazione prospettica dei grandangolari forti è sempre sgradevole in riprese di architettura. Insomma l’agire del fotografo di architettura  è una passeggiata lenta tra paletti precisi, non si deve uscire fuori strada, può apparire che limiti troppo la creatività, un poco è così, è una sorta di gioco raffinato che raramente strapperà un woow per la vostra fotografia all’osservatore comune ma può sicuramente essere compreso e apprezzato da chi per varie ragioni è del mestiere.

 

 

Recentemente ho parlato di fotografia  di architettura con Luca Massari.

Ha  pubblicato per l’Istituto Enciclopedico Treccani e per Franco Maria Ricci Editore, libri di architettura e opere d’arte. Ha lavorato per il Ministero dei Beni Culturali, svolgendo numerose campagne fotografiche di censimento del patrimonio a livello nazionale.

Gli ho chiesto di raccontarsi, e di descrivere il suo modus operandi:

“Gli anni di studio allo IUAV di Venezia, oltre a una conoscenza storica dell’architettura, mi hanno dato gli strumenti per individuare meglio il filo rosso conduttore di un progetto.  Di fatto fotografare l’architettura è un vero e proprio progetto.

  1. Mi documento sull’architetto, le sue opere e il suo contesto storico. Faccio ricerca d’archivio sul lavoro dei fotografi che mi hanno preceduto.
  2. Compio sopralluoghi per analizzare il contesto urbano e paesaggistico, per  studiare la luce, prendendo appunti fotografici. In questa fase il confronto con il progettista è utile per acquisire dati e informazioni  prima di fotografare.
  3. Eseguo le riprese, che sono la parte operativa, ritornando, quando è possibile, a fotografare in situazioni di luce diverse, affinando la ricerca e la riflessione sul lavoro in corso.
  4. Essendo un “nativo analogico”, anche lavorando in digitale, tendo a fare uno scatto il più finito possibile. La post- produzione si limita al bilanciamento cromatico, all’ottimizzazione delle curve e dei livelli. Per post-produzioni importanti delego il lavoro a fidati collaboratori.

 

© Luca Massari. Ex Gil Forlì. Arch. Cesare Valle 1935

 

Aldilà comunque dello schema progettuale, quando fotografo, istintivamente mi lascio guidare dalla luce. Lo spazio è l’altro mio riferimento oltre alla luce; infatti mi riconosco nella definizione “fotografare l’architettura è l’arte di sapersi collocare in un punto preciso dello spazio”.

Avere dei modelli poi è indispensabile per cercare il proprio stile e la propria strada;

Paolo Monti prima e Gabriele Basilico poi, sono stati i miei maestri.

 

© Luca Massari. Chiesa di Riola di Vergato (Bo). Arch. Alvar AAlto 1966-78

 

A questo proposito tra il 2017 e il 2021, attraverso una serie di quattro mostre, ho dedicato un omaggio a Paolo Monti, uno dei fotografi più importanti della storia della fotografia italiana.

Rifacendomi al più grande censimento fotografico dei centri storici dell’Emilia-Romagna realizzato da Monti tra la metà degli anni ’60 e la metà degli anni ’70, ho ri-fotografato a distanza di cinquant’anni le città di Forlì, Cesena, Cervia, mettendomi nelle impronte di Monti, ritrovando lo stesso punto di vista, prospettiva, obiettivo, luce, ecc.

Mi sono avvalso dei suoi ricchissimi appunti di lavoro circa il metodo e le tecniche, calandomi nella sua visione e testimoniando i cambiamenti avvenuti nelle città dal punto di vista urbanistico, sociale e di costume.

 

© Luca Massari. Concattedrale Gran Madre di Dio, Taranto, Arch. Gio Ponti 1970

 

In particolare ho approfondito lo studio su Gio Ponti architetto, conclusosi con una mostra alla Fondazione Wilmotte di Venezia sull’architettura sacra di Gio Ponti, dal titolo: “Sacrèe lumiere! Gio Ponti ’55-‘71”, in collaborazione con l’architetto J. M. Wilmotte.

Oltre alla minuziosa ricerca di testi, disegni, filmati e interviste, sono riuscito a incontrare gli eredi di Ponti, la figlia Lisa e i nipoti, cosa che mi ha permesso di avere testimonianze dirette sulla personalità dell’uomo oltre che del grande architetto.

Le fotografie della mostra di Venezia sono state esposte anche nella grande mostra antologica di Parigi del 2018 “Gio Ponti architetto e designer” e pubblicate nel relativo catalogo.”

 

© Luca Massari. Concattedrale Gran Madre di Dio, Taranto, Arch. Gio Ponti 1970

 

Giorgio Rossi.

Semplicemente Fotografare.

 

 

Luca Massari

 

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