Fotografe professioniste, artigiane, in Italia.

Quando Le dirò che mi riferisco al diritto di guadagnarci da vivere, le mie parole non Le parranno esagerate.

Quel diritto a guadagnarci da vivere passa attraverso circuiti complessi.

Virginia Woolf. Tre ghinee. 1938.

 

Nel corso dell’Ottocento, per le donne della classe media e quindi borghese, il lavoro di artista diventa una professione. Per loro stessa attitudine queste donne cominciarono a guadagnarsi da vivere e a diventare delle professioniste nei settori artistici e artigianali. Basti pensare alle attività liberali come possibilità di guadagnare status sociali, proprietà, denaro e quindi indipendenza economica dallo stesso uomo borghese.

L’esclusiva del professionismo, tra fine Ottocento e inizio Novecento, se in maniera più rilevante diventa un’opportunità anche per le donne in Europa, pure in Italia diventa una forma moderna di collocazione femminile nella sfera sociale: se ne deduce quindi che quello che lega il rapporto tra donne e professionismo è la necessità di avere un reddito. Pensiamo alle sarte, alle insegnanti, alle infermiere, alle donne impiegate nell’industria.

La fotografia rientra in queste attività, lontana dalla concezione di fotografia come fatto solamente artistico, ma di fotografa come artigiana che svolge un’attività sia pratica che artistica per la produzione di beni tramite il lavoro manuale svolto generalmente in una bottega. Teniamo conto che, se nel Dizionario dei fotografi di Naggar tra i 428 fotografi segnalati (originari di 28 paesi diversi) sono citate solamente 30 donne europee, in generale, a differenza della pittura, soprattutto in Italia esiste poca documentazione sulle fotografe.

 

Marirosa Toscani Ballo

 

Un mese fa, precisamente il 4 febbraio è deceduta Marirosa Toscani, sorella maggiore di Oliviero (1942) nata Milano nel 1931. Quando suo papà Fedele Toscani importante reporter, venne ricoverato per una lunga degenza lunga all’ospedale in seguito ad una polmonite contratta mentre seguiva i giro d’Italia, da studentessa liceale Marirosa si trovò a essere promossa fotoreporter sul campo. Non so quanto abbia scelto la sua fotografia,  almeno inizialmente fu più la fotografia a sceglierla. Il lavoro è lavoro, così si trovò a seguire l’elezione di miss Italia, il campionato mondiale di automobilismo, l’alluvione nel polesine.

Lei stessa racconta come non ci fossero molte reporter in quegli anni, anzi “praticamente nessuna, alcune modaiole o quelle nate ricche che potevano permettersi di fare fotografia”.

Nel 1951 incontrò Aldo Ballo, studente al terzo anno di architettura, si misero insieme e Aldo, lasciati gli studi, iniziò a lavorare alla Rotofoto. Nel 1953 si sposarono ed aprirono lo studio Ballo+Ballo.

Una fenomenale fucina creativa, artefice della fama mondiale del nascente design italiano. Quanto fosse merito di Marirosa, quanto di Aldo vai a sapere. Se in una foto dei collaboratori dello studio, scattata da Oliviero, si tengono per mano qualcosa vorrà pur dire.

 

Studio Ballo+Ballo

 

Così quest’articoletto è dedicato alle fotografe italiane, quelle meno conosciute, via, è inutile che stia a scrivere di Lisetta Carmi, Letizia Battaglia, Marialba Russo, Paola Agosti e molte bravissime, recenti.

Se mai c’è da considerare che le fotografe americane note in tutto il mondo sono molte e le italiane altrettanto conosciute assai poche. Chi è che non conosce Vivian Maier? Merita davvero tanta notorietà? Ok è fama recente, il tempo si dice sia galantuomo, vedremo.

Come dice Marirosa fare la fotografa a quei tempi, sopratutto in Italia, non era affatto facile. Molte in seguito furono politicizzate, parteciparono  giustamente alla causa femminista, agli albori, anni prima fare la fotografa era un modo di vivere.

 

Michela Silvestri. Ritratto di un giovane uomo africano. 1875-1899. Albumina

 

Politicamente il femminismo nacque nel contesto delle mobilitazioni per il diritto di voto in Francia, grazie a Hubertine Auclert che lo utilizzò nella sua rivista La Citoyenne, pubblicata dal 13 febbraio 1881.

Successivamente il termine apparirà prima in Gran Bretagna e poi negli Stati Uniti. Alcune date possono aiutare a contestualizzare. Nadar, pseudonimo di Gaspard-Félix Tournachon (Parigi,1820 – Parigi, 20 marzo 1910) fu forse uno dei primi fotografi consapevolmente professionista.

Dorothea Lange (Hoboken, 26 maggio 1895 – San Francisco, 11 ottobre 1965) notissima fotografa documentaria statunitense lavorò nella FSA alla pari con altri fotografi maschietti.

Assunta Adelaide Luigia Saltarini Modotti, conosciuta come Tina Modotti (Udine, 17 agosto 1896 – Città del Messico, 5 gennaio 1942), è stata una fotografa, attivista e attrice italiana. È considerata una delle più grandi fotografe dell’inizio del XX secolo, nonché una figura importante e controversa del comunismo e della fotografia mondiale. Diceva di se stessa: “Mi considero una fotografa, niente di più. Se le mie foto si differenziano da ciò che viene fatto di solito in questo campo, è precisamente che io cerco di produrre non arte, ma oneste fotografie, senza distorsioni o manipolazioni. La maggior parte dei fotografi vanno ancora alla ricerca dell’effetto ‘artistico’, imitando altri mezzi di espressione grafica. Il risultato è un prodotto ibrido che non riesce a dare al loro lavoro le caratteristiche più valide che dovrebbe avere: la qualità fotografica”

Gerda Taro (Stoccarda, 1º agosto 1910 – Madrid, 26 luglio 1937), è stata una fotografa tedesca. Nota per i suoi reportage di guerra, è anche conosciuta per essere stata la compagna di Robert Capa e per aver stabilito con il fotoreporter ungherese un forte sodalizio professionale.

Life fu uno dei primi periodici illustrati. Nel 1936 il fondatore della rivista Time, Henry Luce, la trasformò in un magazine imperniato principalmente sul foto giornalismo. Indubbiamente le donne iniziarono ad interessarsi alla fotografia sin dall’inizio della sua diffusione.

Anna Atkins (Tonbridge, 16 marzo 1799– Sevenoaks, 9 giugno 1871), “è spesso considerata la prima persona ad aver pubblicato un libro illustrato con immagini fotografiche, alcune fonti affermano che è stata la prima donna a creare una fotografia. Ebbe modo di apprendere direttamente da William Fox Talbot, grazie all’amicizia sia del padre che del marito di lei con pioniere della fotografia, due sue invenzioni: la tecnica del disegno fotogenico o carta salata (in cui si ricava un’immagine fotografica ponendo un oggetto su carta fotosensibile esposta alla luce) e il procedimento fotografico della calotipia.”

Tuttavia una vera ampia diffusione di opere fotografiche, e un diverso modo di essere fotografi professionisti iniziò solo con le riviste illustrate. Per questa ragione, salvo eventuali rare eccezioni, fotografi e fotografe  operarono professionalmente per lo più in ambito privato, assai spesso per esecuzione di ritratti, di conseguenza della loro opera ci sono arrivate a volte poche tracce.

Josephine Dubray per esempio, sebbene parigina di nascita  (31 gennaio 1818 – 1886) appare interessante perché mostra come la diffusione del dagherrotipo sia stata rapidissima in tutta Europa, in questo caso nell’Italia centrale, dove la Dubray, allieva di Daguerre e fotografa ambulante, come si diceva allora, arrivò a Genova, proseguendo per l’Emilia e toccando anche Firenze, seppur per pochissimo tempo, portando con sé la grande novità che avrebbe rivoluzionato la percezione dell’immagine.

 

Coperchio di una scatola di fotografie di Josephine Dubray

 

Il viaggio di Josephine iniziò nel 1842 quando arriva a Genova e nello stesso anno partorirà un bambino del quale non si conosce il padre ed assumerà il cognome della madre, Luigi Augusto Dubray (1842-1900) che diverrà anche lui fotografo.

Dal 1844 al 1846 Dubray si mosse in varie città emiliane, Parma, Forlì, Bologna e Cesena. In ogni città pubblicizzò la propria attività ed in molti si fecero fotografare da lei. Ad esempio, ecco l’avviso pubblicato sia sulla “Gazzetta di Parma” che su “Il Facchino, giornale di scienze, lettere ed arti”:

«La signora Giuseppina De-Bruy ritrattista, col metodo Dagguerrotipo, la quale trovasi già da tre settimane circa in questa Città, e che ha dato saggio di non comune abilità, massimamente nei Ritratti delle Signore, riusciti tutti somigliantissimi, sta ora per partire, e ne dà avviso perché quelli che decidessero valersi dell’opera sua, lo facciano senza indugio. Essa dimora in casa Grassetti, borgo Felino, al piano terreno»

 

Dubray & Pescio. Donna in costume teatrale. 1865 ca. Albumina

 

Altrettanto interessante è che l’Emilia sin da quegli anni fosse un po’ la patria della nascente fotografia Italiana, forse non del tutto a caso Luigi Ghirri nacque il 5 gennaio 1943 a Scandiano, vicino a Reggio Emilia e come tutti saanno si dedicò alla fotografia.

Non lontano da quei luoghi Maria Spes Bartoli aprì il primo studio fotografico nelle Marche. “Questa mattina ho sviluppato trentasei lastre. Nel dopopranzo ho seminato le pansè”. In queste parole è racchiusa la personalità di Maria Spes Bartoli, donna che svolge una professione prevalentemente maschile, ma nello stesso tempo rivela una natura poetica. È fino ad oggi, l’unica fotografa che ha operato nelle Marche come titolare di uno studio fotografico.

 

Studio fotografico Maria Spes Bartoli

 

C’è necessità qui di fare una parentesi socioculturale. Nelle Marche, alla fine dell’Ottocento, le donne erano prettamente impiegate nell’industria tessile. Il lavoro femminile acquisisce quindi nella Marche una forte rilevanza rispetto ad altre regioni italiane. Lavora nello studio del padre, insieme a suo fratello Giuseppe, frequenta le giovani nobili, gli artisti e i musicisti del luogo, ama leggere, scrivere, ballare e passeggiare all’aria aperta. Durante la prima guerra mondiale, quando suo fratello Giuseppe è chiamato alle armi, Maria dovrà occuparsi dello studio da sola.

Una storia difficile da indagare, tuttavia una storia importantissima perché troppo speso si avvicina la fotografia all’arte, dimenticandosi che fu ed è parzialmente ancora artigianato.

Tra le fotografe di cui ho trovato vaghe tracce, grazie a uno studio di Chiara Micol Schiona, Archivista presso l’Archivio storico AS Roma.

 

 

Sono passati molti anni da quando ho iniziato ad interessarmi alla fotografia, comperando riviste.

Allora e ancor’oggi, per fortuna raramente, nelle pubblicità per fare capire che una fotocamera era facile da utilizzare veniva messa in mano ad una modella che maneggiava la fotocamera tra il sottilmente erotico e il maldestro.

 

 

Forse uno che scherzosamente capì fu il disegnatore Guido Crepax, che mise in mano a Valentina Rosselli fotocamere importanti che lei, da fotografa esperta, sapeva usare correttamente.

 

Giorgio Rossi.

Semplicemente Fotografare.

 

 

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