“Siamo realisti: esigiamo l’impossibile!” diceva un famoso slogan del maggio francese.
“Fantasia al potere” ribattevano nello stesso periodo gli studenti all’Università Statale di Milano.
A distanza di anni sappiamo com’è andata la storia politica nei nostri paesi, a confermare, forse, che per gli adulti non è così facile passare dal piano della realtà al piano della rappresentazione ideale e manifestare desideri che non trovano espressione altrove. I bimbi, invece, passano facilmente dal piano del reale a quello del fantastico e proprio lì trovano un maggior senso di sicurezza di quanto gli sia consentito sperimentare sul piano di realtà.
Se ripenso a quegli anni non posso fare a meno di considerare quanto fosse importante, rivoluzionario a quei tempi, il clima culturale, la sinergia e convergenza tra le varie arti, il fare insieme.
Rivedo a occhi chiusi, rivivo mentalmente “Fragole e sangue” (The Strawberry Statement)
La freschezza dell’approccio, la curiosità e lo spirito di osservazione del documentarista, l’assenza di velleità autoriali, pur nell’uso insistito, quasi disturbante, di vorticosi movimenti circolari della cinepresa, o dello zoom, e nel montaggio frenetico, contribuiscono a fare del film una delle testimonianze più autentiche e sincere del movimento pacifista negli USA, degli anni sessanta e settanta.
Sull’onda del successo commerciale di Easy Rider, anche la Metro-Goldwyn-Mayer, all’epoca sotto la guida dell’energico Herbert Solow modifica i propri indirizzi produttivi, in materia di temi affrontati – una maggiore attenzione ai movimenti di protesta – e di scelta degli autori, finanziando registi come Michelangelo Antonioni, (Zabriskie Point, 1970), e Robert Altman, (Anche gli uccelli uccidono, 1970).
Riguardo alla fotografia non posso fare a meno di pensare a Blow-Up (1966) di Michelangelo Antonioni, come precursore. Thomas, uno scontroso fotografo londinese di moda, sta realizzando un libro fotografico avente come soggetti persone disagiate dei quartieri londinesi, giovani hippy o clochard che dormono in ospizio. Arriva persino a passare una notte in dormitorio, pur di avere immagini crude e drammatiche, e la mattina successiva sostiene un impegno fotografico in studio con una modella… Blow-Up include numerose apparizioni di personaggi famosi dell’epoca. In una sequenza, verso la fine del film, suonano gli Yardbirds con Jimmy Page e con Jeff Beck, che si esibisce nell’atto di sfasciare la sua chitarra.
In seguito fu Pete Townshend degli Who alla fine di ogni concerto a sfasciare la chitarra, una performance artistica magnetica.
Nel dare corpo e anima al personaggio principale Antonioni si ispirò a David Baley, un mito, il fotografo più trendy all’epoca. Fu una rivoluzione anche nel fotogiornalismo.
Life, Look, Fortune, Harper’s Bazaar, Vogue, furono tra i primi a comprendere che la fotografia come nuovo linguaggio avrebbe sostituito la parola scritta come mezzo per alimentare l’immaginazione. Richard Avedon, Lillian Bassman, Lester Beall, Margaret Bourke-White, Louis Faurer, Robert Frank, William Klein, Herbert Matter, Lisette Model, Gordon Parks, i fotografi che diedero corpo a questo nuovo linguaggio. Fu anche il tempo delle comuni “artistiche” e, nella scia di un desiderato ritorno alla natura, anche agricole. Anche il tempo in cui l’album e la canzone, nel 1967 e il film (nel 1969) “Alice’s Restaurant” di Arlo Guthrie espressero un sentimento collettivo contro la guerra, ma anche una critica profonda e sentita nei confronti di molti aspetti della società americana in generale. Cosa che del resto avvenuta anche nel film “Easy Rider”.
The Rolling Stones (1962), Like a Rolling Stone (1965), ispirata da una ragazza che Bob Dylan conosceva di nome Edie Sedgwick, attrice e musa ispiratrice di Andy Warhol, che morì a soli 28 anni distrutta dalla droga. Ciò che rende grande la canzone è la lezione trascendente che ci dà sulla vita, in quanto parla dei valori che ritiene più importanti, l’integrità, l’onestà e la famiglia.
Rolling Stone il giornale. Dal fortunato incontro con Mick Jagger e Annie Leibovitz iniziò intorno alla metà degli anni ‘70 a lavorare per i nomi più famosi dello star system e per le riviste più importanti. È opportuno non pensare al ‘68 come a un anno, è piuttosto stato un periodo iniziato forse intorno al 1955 e continuato circa sino alla fine degli anni ‘70.
Oltre alla scena Californiana anche la grande Mela era molto attiva e viva, con Andy Wharol con i Velvet Underground e Nico, innumerevoli nomi, tra i quali Robert Mapplethorpe e Patty Smith.
È possibile fare un rewind di pellicola? Tornare a quegli anni… l’Eskimo importante chissà che fine ha fatto, certo oggi come oggi nessuno lo indossa più. Sono tempi lontani come il pleistocene, chi è nato alla fine di quegli anni certo non può riviverli con la memoria. Forse può studiarli esattamente come si studia il medioevo o il rinascimento, ammesso che la storia possa insegnare qualcosa. Vedendo come vanno oggi le cose mi sembra di no.
Forse è possibile di quegli anni ricuperare, istintivamente, inconsciamente, qualche istanza positiva, riviverla sia pur in modo diverso. Ritrovare lo sguardo di un bambino, riscoprire il fare insieme, con fantasia, con creatività. Forse è anche importante distinguere tra fantasia e creatività.
Fantasia. Tornare a essere apprendisti stregoni per uscire dal regno delle ombre.
Fantaṡìa s. f. [dal lat. phantasĭa, gr. ϕαντασία, der. di ϕαίνω «mostrare»]. – La facoltà della mente umana di creare immagini, di rappresentarsi cose e fatti corrispondenti o no a una realtà.
Sì, certo, ma quello che appartiene al mondo del fantastico deve fare i patti col reale, per potere essere trasmesso ad altri e non rimanere solo nel pensiero, nel desiderio. Il passaggio tra fiore profumato e frutto maturo non è mai evidente. Ci vuole terra fertile, ci vuole pioggia, ci vuole sole. Il sole si deve averlo dentro. Se ci fosse un metodo sicuro e attendibile, trasmissibile, potremmo seguirlo, diventare tutti artisti.
Aveva ragione Enzo Jannacci, ci vuole orecchio! Non basta la base.
L’atto creativo sta nel traghettare la fantasia nel reale. “Ne usciremo migliori” si diceva circa due anni or sono. Come abbiamo vissuto questi due anni? Sono stati utili a ri-pensarci? Siamo invece rimasti lì, col fiato sospeso, fermi immobili ad aspettare che l’incubo finisse, che tutto tornasse come prima?
Andrea Gottardi mi ha raccontato questi suoi due anni:
“E’ l’ottobre del lontanissimo 2019 ormai, quando io ed un caro amico architetto abbiamo preso in affitto parte di uno stabile abbandonato per crearci la nostra sede in Vittorio Veneto TV.
Io con il mio studio fotografico e lui con il suo studio di design e progettazione.
Lo stabile era abbandonato da decenni. Costruito come setificio nel (1840 circa) è stato in funzione fino a metà degli anni ’50. Ci passavo sempre davanti fino a ché un giorno decidemmo di farne la nostra fabbrica creativa. Si chiamava Setificio Universo.
Da qui il nome Universo Factory. Per l’universo di idee che ne sarebbero venute fuori, e per gli spazi, squisitamente industriali. Cosi dopo 9 mesi di restauri totali realizzati a budget zero, gli abbiamo ridato vita ed ora ci godiamo i nostri 800mq di saloni, uffici, magazzini, laboratori.
Nel 2021 abbiamo anche creato un associazione culturale (Universo Factory APS) per poter organizzare eventi culturali di ogni tipo.
Andrea Gottardi Secret Stories ora si è stabilito qui e continua in ricerche artistiche influenzate da tutto ciò che può contaminarle.
Durante la quarantena del 2020, ho usato il tempo di “reclusione” per effettuare lavori di restauro, imparando a fare qualsiasi tipo di mestiere, dall’elettricista, al saldatore, dal falegname, al muratore, dal vetraio al carton-gessista.
Ma c’è stato anche il tempo di fare ricerca artistica.
Da ritrattista, le restrizioni sui contatti personali, hanno chiuso le porte al poter fare ritratti su commissione o poter lavorare con modelle per la creazione di opere, così, ricco di tutti gli oggetti, e materiali a disposizione dopo il trasloco del vecchio studio, in questo periodo (2020), ho creato una serie fotografica (SKY SERIES) fatta appunto di Still-Life in studio.
La serie è stata fatta in parte con articoli fotografati dal vero e in parte da “parti” di foto trovate on line.
SKY è il minimo comune denominatore della serie, in modo da creare un limbo onirico, ultra terreno, privo di punti di riferimento, privo di paletti, in modo da azzerare il contesto, e focalizzare l’attenzione solamente sull’oggetto e il suo messaggio.
Da questa tela di base, cambiano solamente le sfumature di colore, da foto e foto, e si evince la mancanza di limiti fisici dell’area, in contrapposizione alle rigide regole vigenti all’epoca, di coprifuoco e lockdown.
La serie è tendenzialmente provocatoria. In un periodo di assoluta e latente incertezza, le mie considerazioni si sono soffermate sui paradossi della gestione italiana riguardo al Covid19, e veicolare i mie pensieri al riguardo attraverso le foto realizzate in quarantena.
La scelta degli oggetti fotografati è ricaduta su quelli che più si avvicinano al mio gusto estetico di bellezza (cose prodotte non solo con lo scopo di funzionare ma anche con quello di essere belle). La serie poi si è ampliata nel corso del tempo, con concetti personali riguardanti pensieri su vari argomenti.
L’uso di photoshop è stato fondamentale per riuscire a elaborare, modificare, riadattare forme e colori, e “inventare” strumenti di tutti i giorni, ma con funzioni e finalità diverse dallo scopo per cui erano stati concepiti.
I ritratti “Secret Stories” post Covid-19 sono in evoluzione, passando da una ricerca pittorica che ha già fatto il suo percorso artistico nella mia testa, e si stanno dirigendo verso una fotografia più reale, con un uso di fotoritocco meno presente, ed un lavoro di artigianato pre-produzione più sostanzioso.
Difatti, è sempre stato il lavoro di artigiano, il predominante, presente nelle mie Secret Stories.
La ricerca è proprio fisica. La ricerca degli oggetti degni di nota, provenienti dal passato ma anche dal futuro (props di scena create ad hoc per ogni set).
I mercatini dell’usato offrono una miniera di spunti, oggetti, mobilio, da cui partire a sviluppare un idea, un concetto, partendo appunto dall’ambiente di scena, prima ancora del soggetto.
Credo fermamente che, se la scena è buona, il soggetto può essere anche un rotolo di carta igienica, ed per me una foto, un concetto, è riuscito. (fatto!)
La fantasia e la creatività sono due cose separate, a mio avviso.
Quando si parla di fantasia, essa è una caratteristica derivante dal background (passami il termine inglesizzato) avuto nel corso della vita, che permette di vedere le cose, attraverso occhi diversi da quelli con cui siamo abituati a vivere la vita di tutti i giorni. Vedere un oggetto, una persona, un vestito, ed immaginare come si potrebbe modificare, tagliare, allungare, fotografare sotto luci diverse, sperimentare, dipingere, evolvere a proprio piacimento fino ad arrivare al punto di soddisfazione. (anche se esse mai arriva al capolinea)
La creatività invece ritengo sia la capacità di concepire qualcosa senza nessun punto di partenza. Da zero.
Per la creatività serve una preparazione. Una lunga fase di studio, cultura, autostima e un assoluta maturità artistica e personale.
Creare è una delle cose più difficili e soddisfacenti della vita. Ma ci vuole allenamento, costanza, sacrificio e capacità poi di metterla a disposizione della fantasia per realizzare il connubio perfetto chiamato Arte.
Storie Segrete, ma a disposizione di tutti, anche se il vero segreto di queste immagini, lo custodisco gelosamente e mi piace mentire molto spesso.”
Lascia un commento