Dall’autoritratto al selfie

Nel precedente articolo ho parlato di ritratti, se ne potrebbe ancora parlare per giorni e giorni. Tuttavia andiamo avanti. uno spazio importante nella storia della fotografia lo hanno anche gli autoritratti e oserei dire pure i selfie.

Che differenza c’è tra un ritratto e un autoritratto? Nel ritratto fotografo e soggetto ripreso sono due persone diverse, nell’autoritratto coincidono. Ovvio. Nel ritratto in soggetto, per quanto sia generalmente in posa e intento ad offrire l’immagine di sé che preferisce rendere nota ed eventualmente diffondere, può anche allentare un momento la guardia e fare trapelare qualcosa che magari preferirebbe nascondere ma che il fotografo può riuscire a cogliere. È consapevole di stare in posa, è inconsapevole dell’esatto istante in cui avverrà lo scatto. Nell’autoritratto il fotografo è autore e soggetto ripreso, ha piena consapevolezza di quello che sta facendo e di come vuol apparire e quindi mostrarsi nel suo scatto. Sin dagli albori della fotografia i fotografi sono stati coscienti del fatto che la fotografia non è solo un rapido mezzo per ottenere un analogo del reale, ma piuttosto una rappresentazione, e hanno anche da subito imparato a giocare e divertirsi rappresentando se stessi.

 

© Hippolyte Bayard

 

Come fece per esempio Hippolyte Bayard, uno dei capostipiti della fotografia, nel 1840, ad un anno dalla invenzione della dagherrotipia, col suo “Autoportrait en noyé” (Autoritratto da annegato).

 

© Nadar

 

Anche Nadar si fece molti autoritratti tra i quali questo interessantissimo a 360 gradi, in anticipo di oltre cento anni. Potrebbe anche essere animato.

 

© Nadar

 

Pochi anni dopo Lewis Carroll, pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson (Daresbury, 27 gennaio 1832 – Guildford, 14 gennaio 1898), oltre a essere scrittore era anche assai attivo come fotografo. Indossava spesso guanti di cotone, neri o grigi, probabilmente per nascondere le macchie che i chimici da C.O. gli avevano lasciato sulle mani. Si scattò non pochi autoritratti, rappresentandosi come una persona romantica e timida, allo stesso tempo riprendeva Alice Liddel.

 

© Lewis Carroll

 

Durante l’epoca Vittoriana fotografare fanciulle era una cosa del tutto comune, lo fecero tanti altri grandi fotografi dell’epoca. Carrol in ogni caso ebbe una vita amorosa movimentata, le relazioni con donne mature non gli mancarono.

 

© Lewis Carroll

 

Insomma amava proporsi fotograficamente da timidino, ma probabilmente non lo fu poi molto. Mentiva sapendo di mentire? Era diverso da come desiderava apparire? Sono i piccoli e grandi misteri della fotografia, non lo sapremo mai con certezza.

 

© Lewis Carroll

 

Gira una fotografia mentre Alice, intraprendente, lo bacia.

Si tratta tuttavia di un fotomontaggio di due scatti di Carrol però fatto successivamente da altri.

Il drammaturgo svedese Johan August Strindberg (Stoccolma, 22 gennaio 1849 – Stoccolma, 14 maggio 1912) diceva di sé “Io cerco la verità nell’arte della fotografia, così intensamente come la cerco in molti altri campi”.

 

© Johan August Strindberg

 

Nei suoi autoritratti Strindberg si mette in posa interpretando ruoli diversi: scrittore, giardiniere, padre di famiglia, rivoluzionario.

Era consapevole che la verità non sta nella riproduzione meccanica di ciò che appare, ma nella personale interpretazione del ‘vero’. Teorizzò il ‘ritratto psicologico’: “Non mi importa del mio aspetto, io voglio che le persone vedano la mia anima e che essa si manifesti in queste fotografie molto meglio che in tante altre”.

 

© Johan August Strindberg

 

Ebbe, come molti scrittori ed artisti importanti, una personalità complessa che non è facile da decriptare nei vari ruoli in cui si calava per fotografarsi. Uno, nessuno, centomila. Riuscì nell’intento di far vedere la sua anima attraverso i suoi autoritratti? Il ritratto psicologico, di conseguenza, esiste davvero?

In verità sono un poco scettico, anche se ammetto che un qualcosa della personalità o se piace di più, dell’anima, resti sempre catturato in un ritratto, prigioniero di una sorta di specchio nel quale ogni autore ama riflettersi, ma ciò avviene secondo me in qualsiasi fotografia, non solo nei ritratti. Sta di fatto che i fotografi da sempre amano moltissimo gli specchi, i riflessi, il doppio e l’ambiguità.

 

 

Per di più in quegli anni lontani scrittori e fotografi erano assai attratti da l’occulto, dagli studi sull’anima, dall’occultismo. I fotografi “spiritici” intorno al 1860   produssero, con grande abilità tecnica, fotografie manipolate con doppie esposizioni in ripresa e stampa, sagome e fotomontaggi per un pubblico che, ignorando la tecniche fotografica, era facilmente suggestionabile   dalla ‘verità della prova fotografica’.

 

 

Non solo all’estero, anche in Italia. Così fu per Luigi Capuana e Giovanni Verga, suo carissimo amico. Capuana si interessò all’occultismo nei saggi   ‘Spiritismo?’ (1884) e ‘Mondo Occulto’ (1896), parallelamente scattò molti autoritratti, alcuni in pose vicine al verismo letterario, altri mettendo in scena il suo interesse per l’occultismo.

 

© Giovanni Verga

 

In ‘Autoritratto profetico’, datato ultimo giovedì del maggio 1903 alle ore 5 p.m., osserviamo Capuana sul cataletto funebre.

 

© Luigi-Capuana

 

Leonardo Sciascia, scrittore assai interessato alla fotografia, scrisse nella prefazione al volume di Andrea Nemiz Capuana, Verga De Roberto – Fotografi (Edikronos, 1982): “Per Luigi Capuana e Giovanni Verga, che nascono negli stessi anni in cui nasce la fotografia, la camera oscura credo contenesse meno misteri e meno provocazioni che per Roland Barthes circa centovent’anni dopo”.

 

© Anton Giulio Bragaglia

 

È un punto di vista che condivido assolutamente. Scrittori e fotografi, praticando attivamente la fotografia riuscirono a intuire sin dagli inizi della storia della fotografia, concetti che ci vollero molti anni per venire diciamo così ‘formalizzati’ da saggisti, semiologi e critici. Insomma lo dico, magari sarò considerato blasfemo ma tant’è, certamente ci sono scritti interessantissimi ‘Sulla Fotografia’, a volte penso che ci spieghino la fotografia senza farcela capire. Che del resto è cosa inutile, meglio intuirla e praticarla come ci pare e piace.

 

© Luigi-Capuana

 

Tutto è un fluire. Possono sembrare stranini quanti in passato si dedicarono alla fotografia spiritica, i loro studi tecnici sono tuttavia all’origine del ‘Fotodinamismo futurista’. Spinsero i fratelli Bragaglia a riflettere sui destini dell’immagine tra fotografia artistica e popolare. Così nasce la doppia esposizione dinamica e il doppio autoritratto: ‘Anton Giulio e Ludovico Bragaglia, Il fumatore–il cerino–la sigaretta, 1913, MoMa, New York’.

 

© Anton Giulio Bragaglia

 

Autoritratti perché no, forse anche per divertirsi ma con un senso spesso profondo come fecero Man Ray, nei suoi autoritratti e Marcel Duchamp nei panni del suo alter ego femminile Rose Sélavy, 1921.

Duchamp si serve della fotografia per comporre la sua immagine, ma non è lui stesso fotografo, lascia a Man Ray il compito di scattare le foto. In un certo senso non sono autoritratti ma ritratti guidati. Da artista, autore, maschile, diventa arte, femminile, prende il posto per lo più tradizionalmente occupato dalla donna, quello nell’immagine.

 

© Duchamp

 

Nell’incontro tra cultura d’élite e cultura di massa, la pubblicità funziona come modello nella ricerca di un’alternativa rispetto ad un’ideale di virilità artistica che appare ormai obsoleto.

La fotografia, soprattutto nel suo uso pubblicitario, fondato sulla ripetizione e sull’assenza di individualità della merce, risulta a priori incompatibile con la singolarità dell’artista, ma sarà proprio questo intreccio tra l’identità, la fotografia e la merce a caratterizzare le diverse immagini di Duchamp attorno agli anni venti…

Nella loro ambivalenza tra ricerca identitaria e artistica, tra cultura d’élite e cultura di massa, tra mascolinità e femminilità, queste auto-rappresentazioni aprono una serie di nuove possibilità di identificazione per l’artista’.

 

© Man Ray

 

Una operazione concettualmente complessa, un pensiero all’essenza della fotografia, un altro all’essenza e al ruolo dell’artista. l rispecchiarsi non nel suo doppio ma nel suo opposto e complementare.

Una sorta di sdoppiamento e identificazione nell’opposto che magari può attrarre anche la donna, quando fotografa, nel riprendere se stessa.

 

© Weegee

 

Wegee, in modo più easy, si fotografò dietro le sbarre interpretando la parte di uno dei suoi delinquenti (1937).

Però, a pensarci, anche questo è un incontro di opposti, e forse l’essenza dell’autoritratto sta qui. Non ci sono più polarità, fotografo da una parte, soggetto dall’altra.

Autoritratti a volte drammaticamente sofferti, alla ricerca di sé, come ne fece molti la povera

 

© Francesca Woodman

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Autoritratti, autoscatti, sino ad arrivare a oggi, ai selfie.

Ebbene sì anche il selfie ha una sua dignità , una ragione di essere. È un fenomeno di costume dotato di peculiarità anche tecniche rispetto al tradizionale autoscatto, è legato al diffondersi, della fotografia digitale e dei social network. Complici anche gli smartphone che permettono di vedersi mentre ci si ritrae.

Tuttavia sono eseguibili solo tenendo il mezzo fotografico in mano, o al limite con l’apposito bastone, il che comporta sempre pose particolari, perché non è sempre facile nascondere il braccio o il bastone mentre si scatta. Ok, si fanno i selfie ragazzine e ragazzini per narcisismo ma se viviamo in un epoca narcisista non ne hanno del tutto colpa solo loro.

Può essere che per vincere ansie e tensioni derivate dalle incertezze sul futuro o sulla vita in generale nella società contemporanea, cerchino narcisisticamente una continua approvazione da parte del prossimo. Può essere anche solo un momento di naturale e talvolta impudica freschezza o di semplice stupidità giovanile, non sta a me giudicare.

Posso solo dire che mi diverto a farmi dei selfie, anche se parzialmente ‘impuri’, tenendo in mano la fotocamera, dato che ho sempre rifiutato lo smartphone.

 

Giorgio Rossi.

Semplicemente Fotografare.

 

© Giorgio Rossi. Ragazzo con l’orecchino da pirla

 

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