Da anni imperversa la diatriba, per lo più credo innescata dagli analogisti puri, che ritengono che la fotografia digitale non sia vera fotografia o, tout court, semplicemente non sia fotografia. Sinceramente questo dibattito non ma mai interessato più di tanto. Ho lavorato per lunghi anni esclusivamente in “analogico”, che poi, essendo l’unico modo allora per scattare fotografie, non si parlava di analogico.
Si andava dallo spacciatore di fotocamere e materiali sensibili, si chiedeva: vorrei 5 Tri-x 35 mm, o 10 FP4 120, ecc. Mica si chiedeva pellicola ai sali d’argento. Oggi al massimo si chiede una scheda SD ultra o extreme da X GB, non occorre specificare che sia per la fotocamera digitale.
Sulla carta oggi bisogna starci attentini. Se si chiede della carta fotografica baritata, si deve specificare marca e tipo, di solito è per stampanti ink-jet, La chiamano “carta fotografica” perché ci si possono stampare sopra le fotografie, ha una resa simile alle carte fotografiche ai sali d’argento, ma non è sensibilizzata. In sé e per sé non sono carte fotografiche, volendo vanno benissimo anche per stampare un testo, non una fotografia. C’è chi dice che una stampa da ink-jet sia un insieme di piccolissimi spruzzi di inchiostro, non una stampa fotografica, e assolutamente non ha tutti i torti.
Quindi il fatto che attualmente un qualcuno scatti in analogico non mi colpisce più di tanto, si possono scattare fotografie “belle o buone” sia in analogico che in digitale
Credo ci sia attualmente un certo feticismo ed esibizionismo nel dire di scattare analogico, quasi fosse di per sé un valore aggiunto. Può esserci ma non è detto ci sia. Un certo feticismo per le fotocamere c’è sempre stato anche in passato.
Chi non è orgoglioso di scattare con una Leica M? Ovviamente c’è chi usa le Leica M perché per vari motivi ci si trova bene, quindi critiche sul prezzo, se corrisponda o meno a una qualità migliore, per me sono senza senso. Diciamo che mi sembra alquanto bizzarro fotografare e postare la propria Leica sul tavolo di un aperitivo preso con amici. Ovviamente è anche una dimostrazione che si possiede anche un buono smartphone.
Curiosamente passa in secondo piano, ben raramente uno posta una Leica M4 al bar e specifica con quale smartphone l’ha fotografata. Peccato, sarebbe interessante sapere quale cellulare è più adatto a fotografare una Leica. In era analogica nessuno fotografava con una Leica un’altra Leica sul tavolo dello spritz. Forse perché lo spritz era meno diffuso o perché uno scatto a pellicola aveva comunque un certo costo, mentre attualmente uno scatto digitale è praticamente gratuito.
Quando fotografavo professionalmente la maggior parte dei miei scatti finiva pubblicato su una rivista, un dépliant, un libro. Per lo più erano scatti in diapositiva, credo di avere fatto stampare solo qualche 50ina di fotografie realizzate in negativo colore, assai meno stampe da dia. Il B/N lo sviluppavo e stampavo in proprio, o per documentazione commissionata da musei ed enti pubblici, o per pubblicazioni. Solo due o tre volte in circa 35 anni di attività professionale ho avuto la possibilità di stampare il B/N per esporlo. Il B/N per venire stampato tipograficamente a suo tempo doveva essere stampato in camera oscura, poi acquisito dallo scanner del tipografo. Ci si pensa credo poco allo scanner, la digitalizzazione delle fotografie è iniziata ben prima della fotografia direttamente digitale. Il primo scanner a tamburo è stato realizzato nel 1957.
Le prime fotografie a mezzi toni stampate su giornali furono pubblicate dal New York Daily Graphic del dicembre 1873, con altri procedimenti, non con lo scanner ovviamente. Non voglio farla lunga sulla tecnologia, è solo per dire che per venire diffusa tipograficamente una fotografia o nasce digitale o prima o poi passa attraverso uno scanner. Oggi per diffondere una fotografia basta postarla su un social. Se è nata da uno scatto analogico si deve ri-fotografare la stampa con una fotocamera digitale, oppure scansionare (scannare, scannerizzare, acquisire, ecc) la dia e eventualmente convertire il negativo in positivo. Non capisco atteggiamenti troppo puristi in questo ambito, specie se si tratta di diffusione a mezzo stampa.
Tuttavia non è l’unica opzione possibile, attualmente le possibilità di esporre, per il fotografo amatoriale e non, sono centuplicate rispetto a una volta. Procedimenti esclusivamente analogici possono essere attuati senza problemi e le stampe possono essere ri-fotografate o acquisite anche solo per pubblicizzare l’evento. Il che non inficia la “purezza”del procedimento analogico portato avanti per l’esposizione.
In passato pensavo che la pubblicazione su una rivista fosse l’ultimo step di un lavoro fotografico, oggi qual’è questo ultimo step? La stampa per un’esposizione? Postare in lavoro su un social? Inviare i file, pagando, a uno degli innumerevoli awards? Alla fin fine penso che non mi importa più di tanto l’ultimo step. Mi interessa una foto o un progetto per il suo contenuto, mi interessa il percorso del fotografo per arrivare al punto in cui desiderava arrivare, sin dall’inizio.
In fotografia analogica (oltre a prerequisiti di competenza tecnica importanti), specialmente per realizzare progetti fotografici, non singole fotografie, ogni scelta, dal formato di ripresa, alla pellicola, deve essere compiuta sin dal momento dell’ideazione, ancor prima di iniziare a scattare. Sono scelte che hanno un valore concettuale importantissimo. In digitale si può scegliere a progetto finito se elaborare un Jpeg o un Raw per realizzare le stampe in B/N o a colori, in analogico devi scegliere prima.
Tutto il procedimento per un progetto in fotografia analogica va portato avanti, passo per passo, alla ricerca di un equilibrio che è fondamentale sia a livello tecnico che a livello artistico/concettuale, per arrivare a un “estetica” uniforme, che rispecchi l’autore nel suo progetto. Della ricerca di questo equilibrio ho parlato a lungo con l’amico Stefano Biserni.
Porta avanti personalmente ogni progetto, sia in B/N che a colori, dal momento dell’ideazione alla stampa finale, sviluppando e stampando anche a negativo colore.
Gli cedo la parola per parlarci della sua concezione di fotografia e dei suoi progetti:
“Sono solo un uomo normale, con una famiglia, dei bimbi, qualche hobbies e una passione… la Fotografia. Forse qualcuno di voi si è chiesto perché fotografa, qualche volta me lo sono chiesto anch’io. Sono giunto alla conclusione che il vero motivo per cui fotografo è perché quando guardo attraverso il mirino e vedo quello che vorrei vedere e inquadro quello che sto cercando e ho la prontezza di riflessi per fermarlo con un click …ecco che solo allora, per quel piccolo istante e per tutti gli attimi in cui riguardo quella frazione del mio tempo stampato fra le mie mani, mi sento speciale, unico… Si, smetto di essere un uomo qualunque, quello che vedete in fila per fare la spesa o che vi chiede scusa se vi ha urtato inavvertitamente. …In quel momento sono Io e solo Io.
Da ragazzino, grazie all’amicizia fra mio Padre e un talentuoso scultore ho avuto la fortuna di frequentare assiduamente lo studio di Galuco Fiorini. Osservarlo mentre cercava qualcosa fra quella creta, vedere la materia che prendeva forma mi ha lasciato un segno. Quando guardavo le linee i volumi che trovavano un loro equilibrio capivo cosa stava cercando, percepivo che qualcosa di speciale era stato fatto. Forse l’arte è proprio questo e anche la fotografia ha questo scopo, la ricerca di un equilibrio!
Non ho iniziato a fotografare da bambino, ma da allora ho iniziato a cercare e grazie alla fotografia ho trovato il mezzo più adatto a me per farlo. Glauco aveva dalla sua la tridimensionalità io dovevo semplificare con una dimensione in meno ma lo scopo, probabilmente, era lo stesso. Grazie ad una settimana trascorsa con Arno Rafael Minkkinen e all’amicizia nata con Andrea Calabresi, durante uno dei suoi corsi, ho affinato il mio sguardo e Andrea mi ha illuminato con il Concetto di “trasparenza” della fotografia.
Ho compreso che quella ossessione che mi aveva guidato fino a quel momento era una ricerca del “particolare equilibrio tra attrazione verso il fotografato e attrazione verso l’immagine in cui non ci debba necessariamente essere un vincitore. Creare cioè, superfici da guardare che traggano il loro significato trascendente dalla collaborazione tra oggetto fotografato e percezione della fotografia come oggetto in sé.”
Quando fotografo per amore lo faccio solo in analogico, sia che abbia in mente foto in bianconero sia che siano scatti a colori. L’immagine finale, ciò che viene registrato su una stampa analogica, è fondamentale nella mia ricerca, è il punto in cui si condensa tutto il lavoro, è il vertice in cui confluiscono tutte le linee. Solo con questa tecnica ho trovato appagamento, così facendo riesco a tenere sotto controllo tutti i passaggi. Utilizzo quasi esclusivamente macchine medio formato o banchi ottici, mi piace avere dei negativi generosi, intervengo poco sui negativi e sempre in maniera delicata sempre per cercare di non rompere quel delicato equilibrio”.
NY, DISLACEMENT , 2017/18
“Se sei stato a New York, avrai certamente provato questa sensazione.”
Il progetto Displacement, NY è un esperimento, teso a sintetizzare in un laboratorio un po’ strano, per metà camera oscura e per metà tastiera di computer, quella sensazione di spaesamento e al contempo di familiarità che hai provato.
Perché, quando visiti New York, hai la sensazione di esserci già stato, come se stessi, in fondo, tornando? Perché tutto è nuovo e stupefacente, ma già presente dentro di te? Dove origina il senso di appartenenza?
Cosa accade in queste 99 foto di Stefano Biserni, corredate di altrettante didascalie da Daniele Prati? Cosa succede nell’osservatore a guardare una foto in ritardo di 1/99 di pensiero sulla successiva? Noi speriamo avvenga in qualche modo uno “sfasamento” simile alla sensazione che, se sei a New York, ti fa sentire come se ci fossi già stato, anche se non è vero.” (testo Daniele Prati)
Ny, displacment è un libro ambientato nell’intramontabile NYC, con foto in bianco e nero che si avvicinano alla street photography.
Dati tecnici:
- Mamiya 7 (6×7), pellicola Kodak Tmax ,Sviluppo D76, carta Foma lucida.
Gli originali sono stampe analogiche 50×60 (le medio formato) o 24×36 le 35mm.
Ci sono anche dei files digitali (Sony a7) che sono stati stampati in ink-jet e rifotografati con un banco ottico e un dorso 6×7 per poi essere stampati in 30×40 su carta argentica e ottenere stampe assimilabili alle altre. Ho esposto circa 60 stampe durante l’evento di presentazione del libro.
Oltre la Statale, con il mare alle Spalle, 2019
In quella parte di Romagna che si affaccia sull’Adriatico i punti cardinali assumono nomi diversi da quelli comunemente conosciuti e si trasformano in lato mare, lato monte, lato Rimini e lato Ravenna. A questi, si aggiunge un altro punto o, meglio, un altro confine che divide questa terra in due parti non uguali. Una esigua lingua di terra affacciata sul mare, ricca, elegante e viziosa. Una zona ben più ampia, molto meno attraente e modaiola.
È quest’ultima , appunto, che sta “oltre la statale”. Il mio sguardo ha voluto soffermarsi e indugiare lungo questo confine, con il mare alle spalle, e mostrare come, anche questa parte di Romagna, può rivelare vedute interessanti che raccontano di luoghi che spesso passano inosservati.
Dati tecnici:
- Mamiya 7, pellicola Kodak Tmax, sviluppo D76, carta Foma lucida.
Gli originali sono stampe analogiche 50×60 (da negativi 6×7) e 30×40 (da negativi 24×36).
Così come scorre il fiume, 2020/21
E’ una bella giornata invernale come spesso accade in questi giorni corro con la mia bici lungo le sponde del fiume Marecchia… fa freddo e il timido sole non riesce a riscaldarmi.
Il fiume scorre, molto lentamente ma inesorabilmente, osserva quello che accade e trascina al mare i ricordi di quello che gli è passato accanto, ha un ritmo diverso sembra quasi che sia lui ad osservare me ma non giudica osserva lentamente e trattiene qualche memoria del tempo passato ma sarà solo fino alla prossima piena.
Molti dicono che i miei scatti sono malinconici… ma forse siamo tutti noi un poco malinconici quando ci fermiamo ad osservare, quando corro in bici lungo il tragitto che affianca il fiume Marecchia io corro ma lui lentamente non si ferma mai, lui scandisce il tempo con un incalzare lento ma inarrestabile… Quello mi attira, il suo silenzioso incalzare… e quando smetto di correre e rallento pure io al suo ritmo si osserva tutto in maniera diversa e probabilmente la malinconia diventa inevitabile.
Dati tecnici:
- Banco ottico Chamonix. Negativi 6×12, pellicola Fuji Across, sviluppo D76,
carta Foma lucida.
Cervese Forese, 2020/2021
È il primo capitolo di un trittico che rappresenterà la Romagna litoranea.
In questo primo appuntamento osserviamo l’entroterra Cervese un mondo trascurato dal turista ma pieno di tracce umane che lo hanno modificato e piegato ai loro bisogni. Le tracce sono infinite e spesso preponderanti. Il paesaggio diventa definizione di chi lo vive di chi lo ha trasformato.
Dati tecnici:
- Mamiya 7 Pellicola Kodak Portra 400, sviluppo Bellini, carta Fotografica Fuji.
Gli originali sono stampe analogiche 30×50 (da negativi 6×7). È stato difficile, scansionando i negativi con uno scanner Nikon (per l’archiviazione, dato che non stampo tutti i negtivi), ottenere file da visualizzare a monitor, con colori simili ai colori delle stampe originali.
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