I nativi digitali pensano a volte che la fotografia digitale sia un mondo lontano e totalmente distinto da quella “argentica”, a pellicola. Tuttavia invece scorrono su binari assai vicini, gli stessi atteggiamenti, gli stessi modi di rapportarsi e fare fotografia che si avevano in era analogica si perpetuano nell’attuale era digitale.
Come se non ci fosse alcuna evoluzione concreta, definitiva.
La teoria, la pratica, il procedere in modo diciamo così scientifico, dovrebbero portare a conclusioni definitive. Dovrebbero esserci risposte definitive a certi interrogativi che ci si possono porre riguardo i modus operandi. Un esempio vagamente attinente.
È ormai da lungo tempo assodato che per cuocere la pasta ( spaghetti, rigatoni o altro) bisogna aspettare che l’acqua bolla, nessuno si sognerebbe mai di mettere la pasta nell’acqua fredda, accendere il fornello ed aspettare che sia pronta. Invece in fotografia non sembra esserci nulla di definitivamente assodato.
Passano gli anni mai i nostri interrogativi sono sempre gli stessi. Meglio X o meglio Y? Meglio il digitale o meglio l’analogico? Meglio le ottiche fisse o meglio gli zoom? Ecc.Ecc.
Si va per opposti, per dicotomie inconciliabili. La sensazione è che nel procedere molti fotografi navighino nel dubbio, nell’insicurezza dei risultati. Nel modus operandi sono spesso assai pignoli, praticano makumbe scaramantiche.
Come se un’inezia, una pur minima differenza potessero portare a risultati totalmente differenti, al fallimento o al successo. Vorrebbero l’eccellenza come standard, in situazioni totalmente diverse come location, ora, condizioni atmosferiche, mezzi tecnici utilizzati in ripresa. Vorrebbero che i risultati eccellenti fossero replicabili ad libitum. Di conseguenza annotano scrupolosamente su un taccuino i dati di esposizione, pellicola usata, obiettivo e quant’altro.
Può essere utile a garantire una ripetitività di risultati che considerano ottimi? Ahimè i casi in cui può essere utile sono assai pochi.
Un esempio: dobbiamo fare molte riproduzioni di quadri, stessa location, stesse luci posizionate, stessa pellicola, per lo più diapositiva a colori. Basterà fare una prova con alcuni scatti in braketing, esposimetrazione a luce incidente, appuntando i dati di esposizione, e poi ripetere la stessa esposizione per tutti i quadri che dobbiamo riprodurre, magari con piccole variazioni se un quadro è un vistosamente più chiaro o più scuro rispetto agli altri.
Otterremo in genere risultati uniformi
Già esposimetrando a luce incidente, peggio ancora se spot, i risultati potrebbero essere assai meno uniformi, alcuni potrebbero essere assai fuori dal range dell’accettabile. Però è un caso assai particolare, la diapositiva tollera errori di esposizione ridottissimi, è una foto finita. Ben diversa è la situazione riprendendo con pellicola negativa , a colori o in B/N. In questo caso l’avere scrupolosamente appuntato i dati di scatto serve a ben poco. Basta che cambi lo sfondo, l’ora del giorno , la luce, per rendere un risultato difficilmente esattamente replicabile. In più in questi casi il risultato finale deriva da una successione di step in cui ogni step ha la sua importanza, condiziona e contribuisce al risultato finale.
Quindi il taccuino dove sono appuntati tutti i dati di tutti gli scatti realizzati in anni di attività fotografica serve assai poco per realizzare una nuova fotografia. La fotografia digitale ci permette tuttavia senza fare alcuna fatica, di conservare tutti questi dati ordinatamente, sono scritti sui dati Exif legati indissolubilmente ad ogni scatto. A cosa servono tali dati? Possono essere utili, per esempio per ricordarsi le tappe di un viaggio.
Se in uno scatto è rappresentata la Tour Eiffel e i dati Xxif ci dicono che lo scatto è stato eseguito il 24 Giugno del 2010 H, 13,30, vuol dire che assai probabilmente quel giorno e a quell’ora stavate a Parigi, avevate la tour Effel a portata d’inquadratura. Ben raramente tali dati vi serviranno per altri scopi, comunque possono servire, non si sa mai, è comodo sapere che possono essere gratuitamente e senza problema a vostra disposizione. Ok ma ad altri, a un osservatore di una vostra foto postata su un social, cosa serve sapere tali dati? Assolutamente a nulla… eppure immancabilmente c’è un qualcuno che ammirando una vostra foto non può fare a meno di commentare: “Ohhh bellissima, come l’hai fatta? Mi dai i dati Exif?”
Non trattatelo male, non è cosa carina. Sorridetegli e inventate i dati Exif che vi chiede, inutile sprecare tempo ad andarli a cercare nell’originale dello scatto.Qualsiasi dato gli fornirete lo lascerà soddisfatto e penserà di voi che siete una simpatica e disponibile persona. Un esempio. Ecco tre immagini, stesso scatto, di conseguenza stessi dati Exif, elaborate diversamente in Gimp. Sono uguali tra loro? All’osservatore serve saperne i dati Exif?



Fondamentalmente concordo su tutto, personalmente mi soffermo ogni tanto e leggo gli exif sulle foto pubblicate nei vari social. Il motivo? È utile per capire la veridicità di parecchi scatti; ad esempio alcune foto riportano 24mm di lunghezza focale quando invece, palesemente, si vede che la foto è stata croppata o ritagliata. Non mi cambia la vita sia chiaro ma ogni tanto l’autore si domanda come mai non riesca a sfociare lo sfondo di un ritratto e allora scopri che ha fotografato con diaframma 11..può essere un modo per spiegare all’utente l’uso del diaframma. Mica tutti quelli che fotografano sono nati “imparati”. O no?