Ritratti Che Raccontano

Le storie uniche e interessanti catturano la nostra attenzione, ci incuriosiscono e ci fanno cliccare su una pagina web oppure comprare una rivista.

Dal momento che una foto vale più di mille parole, quando un racconto è fotografico il richiamo è ancora più forte. Se ci sono dei ritratti, la nostra attenzione è più stimolata (vedremo più avanti perché).
Non sempre si tratta di storie piacevoli, anzi spesso sono proprio le immagini di tragedie ad attirare di più. Qualche volta, stimolano anche il pubblico a prendere una posizione.

 

Stampe dal mio archivio di ritratti ambientati per illustrare notizie e interviste…



Immagini che cambiano la Storia

Pensiamo ai video amatoriali e alle foto che hanno documentato la morte di George Floyd, tutti i media li hanno diffusi, il New York Times li ha montati insieme per ricostruire l’accaduto.
Il resto è storia.

Mentre i fatti accadevano, i protagonisti non erano consapevoli della portata di quei minuti. È stato poi il loro racconto a definire un avvenimento che, lontano dagli obiettivi, non avrebbe avuto l’effetto detonatore che ha avuto per il movimento Black Lives Matter.

Non si tratta di un caso isolato, altre immagini hanno scosso l’opinione pubblica e influenzato l’evoluzione di determinati avvenimenti. Pensiamo ai celebri scatti di Dorothea Lange per documentare la grande depressione americana. Avete presente la “madre migrante”? I ritratti e l’articolo ebbero un impatto enorme sulla popolazione. Subito dopo la pubblicazione sul San Francisco News, arrivarono aiuti al campo che ospitava i raccoglitori stagionali dove la foto era stata realizzata. Alcuni dettagli sulle persone fotografate furono, probabilmente, un po’ romanzati. Il particolare dei copertoni venduti per riuscire a comprarsi da mangiare raccontato dalla fotografa, per esempio, fu smentito in una intervista negli anni ’70 proprio da Florence Owen Thompson, soggetto delle foto.

Alcune cronache riportano come Dorothea Lange chiese a Florence e ai suoi figli delle espressioni che rispecchiassero la situazione drammatica, altri sostengono che non si parlarono neppure. La cosa interessante di quelle fotografie è che non solo raccontano un avvenimento, ma sono diventate a loro volta oggetto di racconti ed esistono diverse versioni su come siano andate le cose. Dunque le foto stesse sono un avvenimento.
Su quelle immagini sono stati versati fiumi d’inchiostro e il loro grande potere comunicativo è da attribuire anche a tutto ciò che si è detto dopo la loro pubblicazione. Scattate nel 1936, non accennano a smettere di far parlare di loro. Infatti, appena qualche mese fa è stato pubblicato il libro “Dorothea Lange: Migrant Mother” di Sarah Meister, curatrice al MoMa.

La grande forza di quei ritratti fu di dare un volto alla Grande Depressione, uno sguardo che riassumeva in sé il contesto e lo metteva in relazione con il pubblico. Difficile ottenere lo stesso risultato con una fotografia che non fosse un ritratto.

 

Il libro di Sarah Meister, “Dorothea Lange: Migrant Mother”

 

Fotografie iconiche

Naturalmente, per un fotografo non è sufficiente scattare delle fotografie d’impatto di un avvenimento di grande interesse. Occorre un altro elemento fondamentale: la loro diffusione. Se le immagini che abbiamo citato non fossero state ampiamente diffuse (e per di più da organi di informazione autorevoli), forse oggi sarebbero solo foto dimenticate.

Perché un organo di informazione decide di pubblicare oppure no delle immagini?
Gli argomenti che hanno più probabilità di essere presi in considerazione e incontrare l’interesse del pubblico generalmente sono:

  • denuncia problemi
  • argomenti controversi
  • segreti rivelati
  • bizzarrie
  • celebrità
  • scandali
  • soluzioni inaspettate
  • novità assolute
  • risvolti piccanti
  • misteri irrisolti/svelati
  • retroscena

Lo avete notato? Gli stessi fattori sono quelli che determinano il potenziale virale di una notizia sul web. E anche quelli utilizzati nello storytelling per creare racconti interessanti.

 

Cos’è lo Storytelling?

Si tratta di un termine di moda un po’ abusato e, a volte, utilizzato a sproposito. Lo storytelling è l’arte di narrare una storia, la capacità di generare emozioni con un racconto, l’abilità di catturare l’attenzione esponendo qualcosa di avvincente. Qualche anno fa pubblicai negli Stati Uniti un libro sul reportage e l’editore insistette per intitolarlo Storytelling For Photojournalists. Riteneva, a ragione, che quel termine avrebbe attirato pubblico. Ma lo storytelling e il fotogiornalismo, anche se hanno parecchi punti in comune, non sono la stessa cosa. Se nel fotogiornalismo è importante documentare la realtà, lo storytelling è una tecnica di comunicazione usata principalmente per trasmettere un determinato messaggio. Lo si usa anche nelle aziende per comunicare al pubblico i valori di un brand e consolidarne l’identità.

Sovente i protagonisti della storia raccontata hanno a che fare con degli ostacoli o dei conflitti e poi trovano una risoluzione. Per esempio: degli adolescenti che iniziano una startup nel garage di famiglia tra incertezze e pochi mezzi, ma con tanto entusiasmo. È l’archetipo del “viaggio dell’eroe”. Nelle fiabe i protagonisti devono spesso essere disposti ad affrontare delle prove pericolosissime prima dell’immancabile lieto fine. Hanno delle qualità nelle quali possiamo identificarci e che fanno sentire anche noi un po’ eroi. Ecco perché quando leggiamo che quegli adolescenti hanno poi fondato la Apple ci sentiamo perlomeno incuriositi e ricordiamo meglio il brand di cui si parla. Le istantanee che si sono scattati in garage rendono tutto più reale e più vicino a noi. Alla fine non importa se Steve Wozniak, che assemblò il primo computer con l’amico Steve Jobs, dichiarò poi che usavano il garage solo come magazzino. La storia piace. Infatti anche Amazon, Google, Disney, Harley Davison, Mattel, Dell e Nike hanno storie di garage che aiutano la loro “brand awareness”.

L’archetipo del viaggio dell’eroe si trova spesso nella struttura di tanti racconti (inventati o reali), questi sono gli elementi principali:

 

 

La risoluzione non significa necessariamente “e vissero felici e contenti”. In particolare, se si tratta della denuncia di una situazione che non sembra avere risvolti positivi, il fatto stesso che la storia sia diffusa e pubblicata costituisce una speranza futura. Ricordate il potere della madre migrante?

 

Quando le foto di moda raccontano

I servizi di moda sono spesso concepiti come la sceneggiatura di un film. Ci sono primi piani, dettagli e inquadrature panoramiche. Avete presente le immagini di Bruce Weber, Peter Lindbergh o Steven Meisel? Sono atmosfere idealizzate che, subliminalmente o meno, suggeriscono un racconto. Anche se nei servizi di moda in genere non c’è una vera e propria trama sviluppata in un lasso di tempo, ci sono sempre dei ritratti che aiutano a percepire lo stato d’animo dei protagonisti e definire la situazione immaginaria. Le foto di un reportage, invece, devono illustrare la realtà e quindi documentare gli avvenimenti e i protagonisti con accuratezza. In entrambi i casi, le storie individuali sono presentate in un contesto e i ritratti non servono solo a suggerire come si sente quel particolare soggetto fotografato, ma contribuiscono a fare capire la situazione descritta e l’atmosfera generale.

 

Per leggere la seconda metà dell’articolo clicca qui.

nella seconda parte:
La costruzione a tavolino del mito di Vivian Maier e i suoi autoritratti
Cindy Sherman, una narrazione in una singola immagine
Perché i volti attirano la nostra attenzione più di altre immagini
Le foto amatoriali che raccontano

 

www.enzodalverme.com

 

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