C’era qualcosa che non andava nel sogno.

Qualcosa che non quadrava con la storia che il mio “io” onirico stava costruendo, affondando le mani nel minestrone di ricordi e desideri che fa da base alle mie visioni Kodachrome notturne, alternando vita-vera vissuta con vita-immaginata.

Era la regolarità di un rumore sordido, “plung”, “plung”, “plung”, che la fantasia riusciva poco a inserire nella strana cena, ambientata da qualche parte nel Far East che mi pareva di riconoscere, dove una vecchia mi parlava mentre assaggiavo i granchi pelosi, una delizia stagionale di Shanghai.

La vecchia era May Chai.

L’ho incontrata anni fa, nell’Astor House Hotel dietro il Bund, mentre stavo scattando qualche ricordo dentro questo vecchio hotel di lusso della China imperiale, trasformato in alloggi dalla rivoluzione di Mao.

Mi aveva offerto un tea verde dentro casa sua, la stanza 116.

Nel sogno mi stava dicendo “Mr. Mau, you must try to cross the Seven Seas”, “plung”, “and climb the Swimming Mountain”, “plung”. E sentivo in sottofondo la musica degli Eurythmics. Tutto assurdo, e’ chiaro, ma non molto distante dalla mia vita reale comunque.

Ma la razionalità della veglia stava facendo breccia, in uno stretto slalom sulla pista del sonno. Stavo sognando in Inglese, ma questo e’ normale, quando anche le bestemmie istintive ti escono prima nella lingua di Shakespeare che in quella di Dante.

Il rumore, e non la lingua, era la cosa sbagliata, non c’entrava nulla con la visione onirica.

La realtà e’ entrata a gamba tesa con un fallaccio sul sonno degno di una fisarmonica di cartellini rossi, spazzolando l’area di rigore prossima alla sveglia puntata sulle 5 di mattina, e cancellando sia May Chai che i suoi mari e e le montagne che nuotano.

Aperto gli occhi. Primi 5 secondi di attenzione vigile. Cazzo. Sta gocciolando dal soffitto del bagno.

Ispeziono il bagno, puciando i piedi nel laghetto alpino che si e’ formato, grazie alla cascatella che scende dal controsoffitto. Chiamo la manutenzione.

Parlare prima delle 5 di mattina con un call center che gestisce gli interventi in una serie di grossi complessi residenziali, qui nel Paese dei Castelli di Sabbia, e’ qualcosa che non si augura nemmeno come vendetta cattiva.

Il dialogo che segue e’ avvenuto in Indi-English, lo traduco per comodità dei lettori poco avvezzi con i dialetti del sub-continente Indiano.

“Buongiorno, sono Mr. Mau dell’appartamento XXX, YYY Tower: ho una perdita nel soffitto del bagno”.

“Buongiorno Sir, posso avere il suo nome, il numero dell’appartamento e del complesso, e la ragione della sua chiamata?” e’ stata la risposta, che mi ha ricordato di non cercare mai di anticipare i tempi, o di cambiare i loro processi tentando di portare efficienza.

Devi adattarti a questo ecosistema se vuoi sopravvivere da queste parti.

Mi adatto, ripeto le informazioni, e indosso subito la corazza “zen-molto-zen” che mi difenderà negli scambi dialettici e pirandelliani successivi: adesso sono pronto al confronto con la logica barocco-medio-orientale che può portarti all’isteria.

“Sir, ma sei sicuro che stia gocciolando dal soffitto?” mi chiede.

“Si, sono certo. Il mio appartamento non e’ un universo parallelo e speculare, dove l’attrazione gravitazionale diventa una spinta centrifuga, e mentre pensi di versarti un bicchier d’acqua, in realtà la spargi per aria”: un po’ di sarcasmo edotto ci sta comunque, mica posso cambiare le mie radici.

“Sir?”. “Si, scusa, stavo parlando con la mia caffettiera, sta piovendo da soffitto, ne sono certo”.

“Bene Sir, l’intervento costa 105 denari, confermi di accettare il pagamento?” mi chiede. “Dai tempi di Giuda c’e’ stata una buona inflazione, ma e’ ancora economico rispetto a quando chiamo un idraulico in Europa: ok, confermo che pago all’incaricato”

“Sir, ti mando subito il manutentore. Buona Giornata”.

“Subito” qui non significa nulla.

Il concetto di “subito”, nella vasta area di mondo nel quale vivo e lavoro, e’ differente da quello che l’avverbio indica da noi in patria, su in Italia.

Mando un messaggio in ufficio che oggi prima di mezzogiorno non mi si vede, e forse anche dopo. Abbandono l’idea della nuotata di allenamento alle 6.

Metto il caffe’ sul fuoco: sarà una lunga attesa.

Foto? Dove vivo nel Paese dei Castelli di Sabbia, che chiamarla ”casa” e’ azzardato. [Leica M10 – Elmarit 21mm]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Alert: Contenuto protetto!