È passata poco più di una settimana da quando sono atterrato a Singapore: sbarcato, insieme a solo 3 altri pellegrini, dopo un volo di una dozzina d’ore, per poi passarne quasi altre 3 nella complessa procedura medica e immigrativa che oggi regola l’ingresso nella Città Stato. Ne è valsa però la pena: grazie (se così si può dire) al Covid che ho contratto ai primi di Gennaio, la clinica dell’aeroporto ha effettuato il prelievo sierologico, confermando la presenza di anticorpi, e questo mi ha accorciato la quarantena obbligatoria (e gestita centralmente) da 14 giorni a soli 3.
Singapore, dopo le esperienze SARS e MERS degli anni passati, ha un piano di emergenza pandemica estremamente ben strutturato, con un’assistenza capillare per i suoi quasi 6 milioni di abitanti, e un’eccellenza nelle strutture medico-sanitarie: questo ha permesso un forte contenimento di casi e di decessi: oggi la vita scorre quasi in una normale condizione pre-Covid.
Poche le forti differenze, oltre alla sospensione dei visti d’ingresso all’arrivo. C’è l’obbligo al costante tracciamento attraverso un’app che legge i QR code disseminati all’ingresso di qualsiasi spazio, e incrocia i risultati con chiunque sia nella stessa area. Questo identifica e segnala immediatamente i potenziali focolai. La mascherina è un obbligo, peraltro già molto diffuso ben prima dell’emergenza, ed è attiva una restrizione al consumo di alcolici dopo le 22:30: bicchieri e bottiglie vengono sequestrati, accorciando la serata sociale.
Primo weekend quasi normale, quindi, dopo 13 mesi passati tra lock-down e quarantene in Italia, Medio Oriente e Svizzera: la Signora Tedesca a Telemetro meritava di essere presa per mano e accompagnata a scoprire – con l’aiuto di Ale e Silvia – Tiong Bahru, lo storico quartiere residenziale che sorge a Bukit Merah, nella Central Region dell’isola di Singapore.
Tiong Bahru è originariamente un complesso di 30 blocchi abitativi – diremmo noi oggi di “edilizia convenzionata” – sviluppato nel corso degli anni ‘20 dal Singapore Investment Trust, con l’obiettivo di fornire oltre 900 alloggi (dalle 2 alle 5 stanze) alla crescente domanda residenziale. La zona, originariamente collinosa, fu spianata e nel corso del decennio il tessuto urbano prese forma, andando a nominare la maggior parte delle strade a ricordo di pionieri commerciali o filantropi Chinesi.
Negli anni a seguire, eccezione fatta per il periodo della Seconda Guerra Mondiale e conseguente occupazione Giapponese, il quartiere si è ampliato notevolmente, combinando lo stile architettonico “art-deco” delle prime abitazioni, con uno più prettamente coloniale nell’immediato dopoguerra. Qui i tipici negozi al piano terra, con abitazioni al primo e secondo piano, hanno dato vita, oggi, a uno dei quartieri più trendy di Singapore. Caffetterie, arte indie, negozi alimentari di eccellente livello: tutto contribuisce a creare un universo parallelo a meno di 10 minuti di bicicletta dal Central Business District.
Merita una visita il wet-market, ristrutturato in due fasi nel 1993 e nel 2004 sulla base di una costruzione originale del 1955. Il piano terra è destinato ai prodotti freschi, mentre quello superiore è un classic food-court come moltissimi altri a Singapore. Dietro l’apparente bolgia dei clienti che si muovono tra i piccoli stalli, dove il concetto di concorrenza è stravolto dalla fedeltà del consumatore che viene trasmessa per generazioni, viene confermata una scrupolosa igiene, che posiziona Singapore come il posto più sicuro al mondo sull’alimentazione. Frutta e verdura tropicali, ottimo pesce, carni e non-food si susseguono in corridoi non disegnati per le dimensioni delle mie spalle.
La Signora Tedesca a Telemetro si muove con me. Si alza, e scatta poche immagini per costruire un ricordo più dettagliato. Oggi ha uno strano vetro, un Super Angulon 21mm f3.4, che al prezzo di varie aberrazioni cromatiche, restituisce però una compattezza e una linearità dell’immagine perfette per spazi angusti. Il risultato ha il sapore delle pellicole commerciali degli anni ‘60 dove i viraggi verdastri e la dominante magenta sui lati sono quasi un marchio d’originalità.
Fantastica la disponibilità a farsi fotografare, da parte di tutti: la mia naturale tendenza a mettere a proprio agio il soggetto, oggi è unita all’assenza di turisti o visitatori per oltre 12 mesi. Si colgono i momenti di vita quotidiana, come li sto vedendo e con una minima interazione, cercando quasi di far scomparire i miei 120 chili che si sommano dalla punta della pelata fino ai piedi.
Chiuso questo primo giro in un paio d’ore: devo pensare di venire ad abitare qui, invece che DownTown dove sono adesso: il quartiere è vivo, interessante, coinvolgente e animato da una divertente umanità che contribuisce al melting pot di cui Singapore è vera leggenda.
Abbiamo fatto tappa di decompressione con una mistura che unisce Campari, Prosecco, Soda e Ghiaccio, in rigido ordine d’importanza: il Popolo Degli Eletti lo definisce il rito dello Spritz. Dopo un primo giro devoluto alla reidratazione, un secondo è stato destinato al puro piacere, permettendomi in un’ estasi semialcolica, di consacrare la bevanda tra le prove che Tommaso D’Acquino sosteneva essere certezza di divinità.
Silvia, che qui c’è nata, e oltre a parlare Singlish e Malay, mastica Mandarino, Cantonese, Thai, Russo e si appresta a imparare l’Italiano, ci ha guidato verso un “secret dim-sum” a China Town, ma questa storia la riservo per un altro articolo.
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