Ryu, Wabi-Sabi & Shoji Ueda

Ciao Ryu, riguardando le mie foto di ieri, devo dire che ho difficoltà a mettere a fuoco a tutta apertura f/1.4”, ho scritto al mio amico di Milano, dopo essere rimasto un po’ deluso da alcune immagini che avevo scattato la sera prima a Fukuoka.

Capisco che possa essere difficile, soprattutto in condizioni di scarsa illuminazione”, mi ha risposto il Guru della Leica (e di molto altro),  evitando di ricordarmi che sto diventando vecchio e gli occhi non son più quelli di una volta. “Hai l’alternativa di sfruttare l’autofocus, oppure aumentare la tolleranza e il perdono, e personalmente ho adottato questa seconda soluzione”. E poi mi ha anche ricordato: “Un gran numero delle migliori foto scattate negli ultimi 100 anni sono leggermente sfocate, e sono comunque spettacolari nella loro bellezza.

Hai ragione, Ryu ​​先生 (sensei)”.

Mentre la mia parte occidentale del cervello ha immediatamente collegato quello che RYU mi ha detto all’autobiografia di Robert Capa “Slightly out of Focus”, la mia parte orientale e asiatica ha cliccato su ciò che Ryu diceva, ed è emerso il principio Wabi-Sabi, La bellezza dell’imperfezione, nell’estetica giapponese.

Wabi-Sabi: la bellezza dell’imperfezione.

Wabi-sabi rappresenta un principio fondamentale dell’estetica giapponese che abbraccia la natura transitoria e imperfetta della vita. Radicato nel buddismo Zen, enfatizza la semplicità, l’umiltà e la bellezza intrinseca che si trova nel ciclo naturale di crescita e decadimento.

“Wabi” inizialmente denotava la solitudine di vivere nella natura, lontano dalla società, e si è evoluto fino a significare semplicità rustica o eleganza sobria. Apprezza la quiete e la riflessione interiore che derivano da un’esistenza solitaria. “Sabi”, d’altra parte, indica il passare del tempo e il suo impatto, concentrandosi sulla bellezza e la serenità che derivano dall’età. Se combinato, il wabi-sabi celebra le imperfezioni, le crepe e le strutture esposte alle intemperie che testimoniano il passare del tempo.

Questo concetto è evidente in vari aspetti della cultura giapponese. Ad esempio, nelle tradizionali cerimonie del tè, gli utensili e le ceramiche utilizzati sono spesso imperfetti e mostrano segni di usura, evidenziando la bellezza della loro impermanenza e utilizzo. Allo stesso modo, nella ceramica giapponese, l’arte del “kintsugi” prevede la riparazione di ceramiche rotte con l’oro, a dimostrazione del fatto che rotture e riparazioni fanno parte della storia di un oggetto, piuttosto che aspetti da mascherare.

In sostanza, il wabi-sabi offre una prospettiva che contrasta nettamente con la moderna ricerca della perfezione. Ci invita a trovare la bellezza nell’imperfetto ed effimero e ad apprezzare l’essenza più profonda e autentica della vita.

Quando si parla di fotografia ha un nome: Shoji Ueda, e stamattina (ecco alla fine il collegamento) ho visitato il museo che espone una vasta selezione dei suoi capolavori, a Hoki, 4 ore di macchina da Hiroshima.

 

 

Shoji Ueda: un luminare della fotografia giapponese

Nel variegato mondo della fotografia, il Giappone ha prodotto numerosi fotografi leggendari le cui opere hanno lasciato un segno indelebile sulla scena artistica globale. Tra questi, Shoji Ueda si erge come uno dei fotografi più influenti e all’avanguardia del 20° secolo. Combinando elementi di surrealismo con l’estetica tradizionale giapponese, Ueda ha creato una narrativa visiva unica che ha trasceso i confini e gli è valsa il plauso internazionale.

Nato nel 1913 nella prefettura di Tottori, in Giappone, il primo approccio di Ueda alla fotografia avvenne durante l’adolescenza. Il suo percorso artistico iniziò sul serio dopo aver co-fondato il Chugoku Photographers Group nel 1937. Fu attraverso questa piattaforma che iniziò a sviluppare il suo stile distinto, sposando elementi delle tendenze moderniste europee con le sue esperienze personali nella campagna giapponese.

Una delle caratteristiche più iconiche della fotografia di Ueda è la vastità e la semplicità surreale delle sue composizioni. Spesso ambientati sullo sfondo delle dune di sabbia di Sanin, i suoi soggetti, siano essi figure solitarie, coppie o gruppi, appaiono sminuiti dai vasti paesaggi, evocando sentimenti di insignificanza nella grande scala della natura. Questa scelta dell’ambientazione, unita alla sua predilezione per la composizione minimalista, spesso conferisce alle sue fotografie un’aura ultraterrena, come se fossero frammenti di un sogno.

 

 

Ueda spesso incorporava anche elementi giocosi e stravaganti nel suo lavoro, distinguendo ulteriormente il suo stile da quello dei suoi contemporanei. Ad esempio, nella sua serie “Children the Year Round”, Ueda cattura le gioie e le fantasie innocenti dell’infanzia. I bambini, spesso raffigurati in salti a mezz’aria o in pose giocose, contrastano con l’asprezza e la profondità delle dune, creando un’interazione tra realtà e fantasia. Questa miscela di realismo e surreale mette in mostra la capacità di Ueda di vedere lo straordinario nell’ordinario.

La maestria di Ueda sulla fotografia in bianco e nero era particolarmente evidente nella sua manipolazione dei toni. Il suo abile uso di luci e ombre aggiunge profondità e atmosfera alle sue fotografie, contribuendo a enfatizzare i soggetti e l’ambiente circostante. Il suo lavoro, sia in termini di composizione che di tonalità, testimonia la sua profonda comprensione del mezzo.

Vale la pena notare che, sebbene Ueda traesse ispirazione dal surrealismo occidentale, non perse mai il contatto con le sue radici giapponesi. Nelle sue opere si possono individuare elementi dell’arte e dell’estetica tradizionale giapponese, come i principi di “ma” (spazio negativo) e “wabi-sabi” (bellezza nell’imperfezione). Questa perfetta fusione di Oriente e Occidente, tradizionale e moderno, ha reso la fotografia di Ueda universalmente identificabile.

Negli anni ’70 e ’80, il lavoro di Ueda iniziò a ottenere riconoscimenti a livello internazionale. Mostre a Parigi e New York hanno presentato il suo stile unico a un pubblico più ampio, consolidando il suo status di una delle figure di spicco della fotografia contemporanea. Nonostante il successo internazionale, Ueda rimase profondamente legato alla sua città natale, continuando a catturare l’essenza di Tottori nelle sue opere successive.

Shoji Ueda è morto nel 2000, ma la sua eredità di visionario nel mondo della fotografia rimane intatta. La sua visione unica, fondendo il surreale con il quotidiano, sfida gli spettatori a vedere il mondo attraverso una lente diversa. In un’epoca in cui le immagini vengono consumate rapidamente e frequentemente, le fotografie di Ueda rappresentano testimonianze senza tempo del potere del mezzo, esortando gli spettatori a fermarsi, riflettere e immergersi nella profondità e nella bellezza di ogni fotogramma.

Il contributo di Shoji Ueda alla fotografia giapponese e alla scena artistica globale è incommensurabile. Poter vedere una collezione così vasta, come ho fatto oggi, è un grande onore: ovvio che non aggiungo qui nessuna delle sue foto per non violare il copyright, ma andatevi a vedere “My Family”, è spettacolare.

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