“Speak-e! tell-ee me who-ee be, or dam-me, I kill-e!”, Parla! Dimmi chi sei, o maledizione, ti uccido!, sono le prime parole pronunciate da Qeequeg nel romanzo Moby Dick del 1851.
Il suo autore, Herman Melville, nasce a New York, nel 1818, terzo figlio di un facoltoso commerciante che lo lascia orfano a 14 anni: la famiglia fatica a tirare avanti e Herman decide di imbarcarsi come marinaio nel 1839 decide di imbarcarsi prima su una nave commerciale e poi su una baleniera che incrocia nel Pacifico, nell’area delle Marquesas Islands. Comincia a scrivere, realizzando un primo romanzo, Typee e un seguito, Omoo nel 1947, narrando avventure di mare, sulla base dei suoi viaggi tra la Genti delle Isole. Mentre questi primi libri riscuotono un buon successo, i successivi due (Mardi e Redburn) sono accolti in modo più tiepido.
Nel 1851 pubblica Moby Dick, lavoro che lo colloca nel periodo letterario dell’American Reinassance: il successo del libro arriva però postumo. Herman continuerà a scrivere sia romanzi che poesia fino alla sua morte, nel 1891
Ishmael è il protagonista della narrazione in Moby Dick, e incontra (nel terzo capitolo del libro) l’uomo che sarà poi presente in tutto il libro, l’arpionatore Queequeg: “cannibale, gigante tatuato, figlio del capo di Kokovoko, un’isola del Sud Pacifico, che ha abbandonato la sua tribù per visitare il mondo”. Moby Dick e i suoi personaggi hanno alimentato poi una ricca trasposizione cinematografica, a partire da una prima pellicola nel 1926, passando per il capolavoro di John Huston con un’interpretazione di Gregory Peck del 1956, fino a un buon numero di serie televisive.
Queequeg è anche il nome del Tattoo Studio dove Gianmaurizio Fercioni da ormai 6 decenni lavora nel centro di Milano, inserendo inchiostro sotto la pelle, creando ricordi, testimonianze e cazzate che durano per tutta la vita. Il posto è una porta che ti trasferisce in un differente universo spazio-temporale: entrando passi in un’altra vita dove (forse) un po’ di tutto supporta la passione. Tempi, riti e linguaggi che ne sono propri.
Passi la prima ora a rifinire il disegno e la sua posizione, fino a quando ne vedi uno trasferito sulla tua pelle. Poi si preparano le macchine, gli inchiostri e il maestro tatuatore che, indossando i suoi guanti, comincia ad assestarsi in una posizione e disegnare qualcosa che ti resterà per sempre. Chiacchiere, scherzi, ricordi, storie, dolore: fa tutto parte del rito.
Rito nel quale ci siamo passati un po’ di volte, io e Camilla (mia figlia), ritrovandoci da Gianmaurizio.
Ci siamo fatti disegnare e scrivere sulla pelle cose diverse, con sensazioni e passioni simili, in un momento identico, e lo abbiamo fatto più volte durante gli ultimi anni. Abbiamo costruito un ricordo assieme, un altro che ci accompagnerà tutta la vita.
Scatti miei e di Cami, ovvio sempre con una Signora Tedesca a Telemetro.
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