Non riesco a capire se sia sera tardi o mattina presto: ho ancora in bocca il sapore della Saigon Beer con la quale ho accompagnato i gamberoni a cena, ma il palato (e la testa soprattutto) mi chiede un caffe’, a conferma che il mio giorno e’ già iniziato, malgrado non ricordo nemmeno di avere dormito.
Una delle immagini più classiche del Viet Nam sono le donne che spingono biciclette stracariche di fiori, e ieri sera mi e’ venuta la voglia di vedere il mercato, qui ad Hanoi: ho chiesto qualche indicazione a Charlie (ovvio soprannominare cosi il Caronte che mi scorazza da queste parti, visto che lui – con qualche anno più di me – quella guerra l’ha fatta, ed e’ entrato con suo plotone a Saigon il 30 Aprile 1975).
“Mau, my dear new friend, are you ready to get up early?“, mi ha risposto, e una volta tanto il concetto di “presto” si e’ scontrato con il mio periodo REM piu profondo, e prima delle 2 di mattina sto girando tra motorini, petali e pistilli in una pioggia che mi inzuppa.
Una volta tanto rimpiango di non essere un turista: avrei dovuto avere sulla pelata il cappello conico, icona dell’Indocina, e tetto spiovente sulle mie spalle, mentre invece sento il rigagnolo scendermi lungo la schiena, mentre il fango mi schizza sui piedi. Non ci capisco un cazzo di fiori, a parte riconoscerne un paio, e posso contare sulle dita di una mano le volte che ne ho regalati, pentendomene poi sempre, a conferma che il mio romanticismo langue, ed e’ meglio lasciarlo cosi.
Giro per gli stalli, gigante invisibile, mentre un formicaio di persone si intrica in un caos ordinato e organico, dove pare chiunque, tranne me, sappia esattamente dove andare e cosa fare. Una donna, che abbraccia un grappolo di mazzi di rose, mi guarda e mi sorride velocemente, per poi schivarmi e continuare la sua traiettoria commerciale, dove il petalo non può attendere.
I profumi si mescolano nell’umidità, e mi si attaccano alla pelle. I colori esplodono in un caleidoscopio di luci e ombre. Una vita non basta per vedere la bellezza del mondo.
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