Non ci si abitua mai fino in fondo, qui nel Paese dei Castelli di Sabbia, a una settimana che comincia la domenica, con Venerdì e Sabato di festa: non ci si abitua, ma ci si prova, e il Giovedì sera è lo sbrago, soprattutto nella community anglofona che frequento.
I pochi passi, che dal taxi ti portano all’ingresso del Pub, sono un salto nostalgico-cultural-evocativo.
Taxi. Si, perchė qui la tolleranza per l’alcol alla guida non ė “zero”, ma “log 0”, cioè “meno infinito”, quindi se bevi anche solo mezzo bicchiere di frizzantino non ti metti alla guida: le leggi locali non sono benevole, specialmente con gli stranieri, e quindi si arriva con taxi, con Careem (una versione locale di Uber), o con qualche autista che si offre allo straordinario per pochi sesterzi.
Varchi una porta, scendi due rampe di scale, interrotte da un mezzanino dove c’è chi tira di stecca e chi gioca con le freccette, e scendi in quello che per stasera è casa, socializzazione, svago, sbornia.
La band filippina, 4 chitarre, basso, tastiera e batteria cui si aggiungono due voci (una ragazza che svetta a 130cm su tacchi, e un ragazzo in carne ma entusiasta ad ogni cover), ha la potenza di fuoco di un plotone d’esecuzione.
Battono i 3.72/quarti, che dargli un ritmo consono sarebbe veramente troppo, sparando una cover dopo l’altra. Dai Queens a Buffalo Soldiers, da un Eminem speziato all’asiatica ad un Jack White urlato da tutta la platea.
“I’m gonna fight ’em all, A seven nation army couldn’t hold me back.
They’re gonna rip it off, Taking their time right behind my back.”
C’è chi ė un ortodosso della pinta, e scientificamente si secca una birra dopo l’altra, con una costanza al cui confronto i Monaci Tibetani sono degli sciammannati liceali. Chi invece, soprattutto tra le bipedi femminili, alterna una serie di devastanti miscugli, passando da “un vodka, cranberry juice e una fetta di limone con uno schizzo di selz“, a un “crema di caffè, panna e gin a riempire, dato alle fiamme e succhiato con una cannuccia molotov“.
Socializzare ė destinato solo a chi riesce a scomporre lo spettro sonoro in fette distinte, perché la bolgia acustica, che si mescola all’acido fumo delle sigarette, diventa presto un “Chinese Whisper“, la versione nordica del nostro gioco da bambini del “telefono senza fili”, con frasi che spezzettate, distorte e ricostruite, perdono qualsiasi senso compiuto.
“Tomorrow …. reverse …. gas …. we …. window ….
oh shit I love this song … ‘And I’m talking to myself at nigh‘ … “.
Ci si sente a casa, ci si sente in un posto ove si ė ospiti temporanei, ma facendo finta che non sia così, come in una navicella spaziale intergalattica dove bisogna aspettare il viaggio di qualche anno.
Il posto si riempie, il turno delle signorine che affittano specifiche parti di se stesse si mescola al team di Dragon Boat che celebra la qualificazione nelle races del mese prossimo. Gruppi di amici si integrano insieme a chi è bloccato qui nel weekend, visto che “casa vera” è troppo lontana per tornare in tempo la Domenica mattina. C’è chi comincia a ballare mentre la nebbia delle sigarette si fa più fitta e l’aria irrespirabile.
Foto? Night Out, comincia il weekend, iPhone (che la Signora Tedesca a Telemetro é a casa a dormire) ….
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