I “floating markets”, i mercati “galleggianti”, con bancarelle e stalli ospitati su barchette instabili, sono ormai solo una leggenda turistica in Thailandia: da un lato sono stati eliminati grossa parte dei canali, rimpiazzati una una rete viaria più che decente, e dall’altro i centri commerciali hanno fagocitato l’indole al raccattare il cibo per strada, da parte della buona parte dei locali, a fronte di una cucina casalinga quasi scomparsa.
Ne rimangono pochissimi, più per i turisti che altro. Owl, la mia Virgilio Thailandese, mi ha garantito ne esistano ancora un paio, a una sessantina di chilometri dal centro della capitale, che hanno ancora un’aria semi-ruspante, e arrivandoci prima delle 8 di mattina, la percentuale di turisti è quasi bassa.
Timbriamo il cartellino nella zona di Damnoen Saudak, dopo aver assaggiato il traffico cazzuto di Bangkok, e scartiamo il Maecklong Market (il famoso mercato sui binari della ferrovia, che si ritrae al passaggio del treno), già denso all’inverosimile con grappoli di corriere che scaricano torme di turisti alla ricerca di un’esperienza verosimile, e proseguiamo ancora per qualche chilometro.
Owl mi parla della stagionalità della frutta e delle fantastiche piccole banane gialle che si trovano adesso: per un ragazzo cresciuto solo con Chiquitas, l’espressione “Let’s go bananas” (“facciamo follie” in slang) mi esce istantanea. Si, l’espressione è istantanea, poi spiegarle il significato mi richiede un’esegesi di quasi mezz’ora.
Dopo aver attraversato un po’ di volte Myanmar, Laos, Cambodia e Viet-Nam, la Thailandia oggi mi sembra Via Manzoni, addobbata per Natale: non si arriva all’esperienza di un’Autogrill sulla Cisa, che – a onor del vero – magari qualche prodotto locale lo offre, mi par di ricordare l’ultima volta che ci son passato per andare a scofanarmi un cacciucco. Qui, nei dintorni di Bangkok,i sente che il tutto è mantenuto in vita grazie a orde barbariche giubilanti, con sandali ai piedi e macchine fotografiche al collo, e con un portafoglio estero al cui confronto il Bath locale rappresenta una ridicola paccottiglia.
Finisce a tarallucci e vino: raccatto un paio di mango, un casco di bananine, un vassoio di pomelo, dei sacchetti i di gamberetti fritti e una ciotola di riso speziato. Mi prendo un caffè che sembra cioccolata dalla densità, e rimonto in macchina per tirare verso nord.
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