Parlo con Lara, che adesso è  a San Diego in California, e si dice fortunata di essere partita prima che le proteste si radicalizzassero, ma soprattutto prima che l’emergenza sanitaria trasformasse la “Asia’s World City 亞洲國際都會” in una città deserta e silenziosa. Chiama tutti i giorni gli amici che ha lasciato ad una secchiata di ore di distanza, per capire se almeno la sua voce può fornire un supporto.

Parlo con Bec, e sullo schermo del mio Mac vedo la preoccupazione nei suoi occhi. Da oltre un mese i suoi due figli sono a casa, le scuole sono state chiuse, e qualsiasi altra attività è stata fermata. Continua a sorridere, dicendomi che ne usciremo, è una donna forte, una fantastica professionista. È una madre, e vorrebbe essere a migliaia di chilometri di distanza adesso.

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Parlo con Alex, confinato a casa nell’Isola di Lantau, esce con la sua canoa ancora tutti i giorni, allenandosi per quasi due ore nelle acque della baia, visto che arrivare fino a Stanley è quasi impossibile. Sono settimane che non prende il traghetto che normalmente lo porta ogni giorno nel Financial District, dove dalla sua torre vede Victoria Bay.

Parlo con Nay May, che abita sopra il suo negozio, accanto alle scale mobili che portano su a Soho. Da qualche giorno non apre più la saracinesca: nessuno che compri i suoi cappelli, considerati fino a un paio di mesi fa un dettaglio indispensabile per gli Youtubers/Instagrammers che intasavano il web, pubblicando dagli hotspot dei locali che traboccano nella zona.

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Parlo di Hong Kong. È quasi un anno che non ci vado, e le cose sono cambiate in modo epocale: dal tipico casino asiatico, ingentilito dalla lunga presenza britannica, che aveva creato un contesto unico nel pianeta, alle dimostrazioni che per mesi hanno portato il fragile equilibrio prossimo alla rottura, all’emergenza sanitaria che da due mesi ha inchiodato la città. Nel silenzio.

Si, questo mi dicono tutti. Il brusio da alveare umano, che gli oltre 7 milioni di abitanti, auto, ferry, tram, provocavano, che si mescolava con le etnie e i profumi delle cucine, quello che era il respiro di Hong Kong, si è fermato, nel silenzio.

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