Al momento, il Giappone detiene il primato di avere uno dei rapporti debito pubblico/PIL più alti al mondo ma, al contrario di quanto sta accadendo in Italia e in altre economie europee, questo non sembra preoccupare la finanza globale.
Storicamente il debito pubblico del Giappone è stato in costante aumento a partire dagli anni ’90 e nel 2021 era ben oltre il 200% del suo PIL, diventando così il più alto tra i paesi sviluppati. Immergiamoci un po’ in profondità su questo argomento, e sul perché non sia stato così preoccupante, almeno fino ad ora.
STORIA E CAUSE PRINCIPALI: IL DECENNIO PERDUTO
Il “decennio perduto” del Giappone è un termine comunemente usato per descrivere un lungo periodo di stagnazione economica che il paese ha dovuto affrontare a partire dai primi anni ’90 e, secondo alcuni, durato due decenni fino a entrare prepotentemente negli anni 2000. Questo ha portato alla riduzione delle entrate fiscali e all’aumento della spesa pubblica nel tentativo di stimolare l’economia.
Prima del decennio perduto, durante la seconda metà degli anni ’80, il Giappone viveva una bolla economica, caratterizzata d una rapida inflazione dei prezzi di beni e attività, in particolare nel settore immobiliare e nel mercato azionario. L’indice azionario Nikkei ha raggiunto il suo massimo storico alla fine del 1989.
Poi la bolla, come ogni bolla che si rispetti, è scoppiata.
La bolla è scoppiata all’inizio degli anni ’90, provocando un crollo dei prezzi. I valori immobiliari si sono dissolti e molte aziende, direttamente o in effetto domino, hanno dovuto affrontare enormi perdite a causa dei loro investimenti in asset gonfiati. Lo scoppio della bolla ha avuto ripercussioni anche sul settore bancario. Le banche avevano concesso massicci prestiti durante il periodo di folle crescita, spesso senza garanzie collaterali sufficienti (lo abbiamo visto altrove, non è vero). Quando i prezzi degli asset sono crollati, si sono ritrovate, ovvio, con prestiti in sofferenza. Nonostante questi debiti fossero chiaramente inesigibili, molte banche sono state riluttanti a riconoscere le proprie perdite, portando ad una crisi bancaria di fiducia e di fatto.
Il Giappone entrò quindi in un periodo di deflazione, in cui i prezzi continuarono a scendere. Ciò ha reso il debito più oneroso in termini reali e ha scoraggiato la spesa dei consumatori, poiché le persone si aspettavano che i prezzi scivolassero ulteriormente. C’erano problemi strutturali di fondo nell’economia giapponese, come la rigidità del mercato del lavoro, l’invecchiamento della popolazione e la mancanza di riforme economiche significative, che hanno reso una potenziale ripresa ancora più difficile: qualcosa che sappiamo molto bene, purtroppo, anche nel mio Paese, l’Italia.
Il governo giapponese e la Banca del Giappone hanno adottato misure per combattere la stagnazione, tra cui pacchetti di stimoli fiscali e la riduzione dei tassi di interesse. Tuttavia, queste misure non hanno portato ad una ripresa robusta e, secondo alcuni, avrebbero addirittura prolungato la stagnazione a causa del conseguente aumento del debito pubblico.
I decenni perduti hanno avuto profonde implicazioni anche per la posizione del Giappone nell’economia globale. Prima degli anni ’90, il Giappone era spesso visto come una potenza economica inarrestabile, ma la prolungata stagnazione lo ha portato a essere superato da altre economie in rapido sviluppo, in particolare dalla Cina.
Il decennio perduto è spesso studiato da economisti e politici come un ammonimento sulle bolle finanziarie, sui rischi di una deflazione prolungata e sulle sfide legate al rilancio di un’economia in un contesto di sfide strutturali e demografiche. Le risposte degli Stati Uniti e dell’Europa alla crisi finanziaria del 2008 sono state, in parte, influenzate dalle lezioni tratte dall’esperienza del Giappone, che rappresentano un esempio vivente delle complessità della gestione delle politiche macroeconomiche e delle ripercussioni delle bolle finanziarie.
COS’ALTRO?
Il Giappone ha una delle popolazioni più anziana del mondo. Questa sfida demografica comporta un aumento della spesa pubblica nell’assistenza sanitaria e nelle pensioni, a fronte di un calo delle entrate dovuto alla contrazione della forza lavoro. Inoltre, le pressioni deflazionistiche hanno reso il servizio del debito più costoso in termini reali e hanno scoraggiato la spesa dei consumatori, complicando ulteriormente gli sforzi di ripresa economica.
In questo contesto, la Banca del Giappone (BOJ) ha mantenuto bassi tassi di interesse per periodi prolungati, il che, pur mirando a incoraggiare l’indebitamento e la spesa, ha anche reso relativamente economico per il governo contrarre prestiti a livello locale invece di finanziare il debito con prestiti internazionali , riducendo quindi l’indice di esposizione al rischio.
OGGI
Nonostante gli elevati livelli di debito, il Giappone è stato in grado di onorare, fino a oggi, il proprio disavanzo senza problemi significativi. Gran parte del debito del governo giapponese è detenuto a livello nazionale, il che significa che il paese è meno vulnerabile agli shock finanziari esterni. Inoltre, per sostenere ulteriormente la situazione attuale, lo status del Giappone come nazione creditrice con significative riserve estere gli fornisce stabilità finanziaria.
I tassi di interesse in Giappone sono estremamente bassi da decenni. Ciò ha consentito al governo di contrarre prestiti a costi molto bassi. Le aggressive politiche di allentamento monetario della Banca del Giappone, compresi i tassi di interesse negativi e il quantitative easing, hanno tenuto a bada questi tassi.
COSA C’È DOPO?
Sebbene l’elevato livello del debito sia motivo di preoccupazione, diversi fattori mitigano il rischio immediato di una crisi del debito. L’ampia proprietà interna del debito, la forte posizione esterna del paese e lo status dello yen giapponese come valuta di riserva forniscono un certo cuscinetto. Tuttavia, nel lungo termine, sono necessarie riforme strutturali per affrontare il problema. Una cosa possiamo di sicuro dirla: non sarà una cosa facile.
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