Cosa provi a volare di nuovo dopo, oltre 3 mesi bloccato a Milano, durante i quali non hai preso nemmeno un aereo?”. 

Nulla. Non provo nulla.

Il volo in se stesso è un’esperienza talmente ricorsiva nella mia vita, da considerarla – tranne rare eccezioni – alla stessa stregua del prendere un tram. Mia madre, White Mam(b)a,  racconta che ho fatto il primo viaggio su un aereo militare nel Giugno del 1959, quando non avevo manco due mesi di vita, e da quel momento in poi, stare in aria è sempre stato normale.

Normale per i successivi 60 anni, a parte gli ultimi tre mesi, da quando l’alieno si è impossessato delle nostre vite, e – oltre a uccidere troppa brava gente – ha collassato l’industria del trasporto passeggeri.

Il volo in se stesso non è cambiato. Tutto il resto, invece, è un’esperienza differente, e a tratti un po’ inquietante.

Sono arrivato a Malpensa, indovinando quasi subito quale delle 19 porte sia aperta per l’accesso, e quale per l’uscita, trovando poi un terminal totalmente deserto. Un silenzio irreale, fatto di ripetuti annunci che ti suggeriscono di non lasciare il bagaglio incustodito, e di stare almeno a un paio di metri di distanza da altri passeggeri: entrambe cose facili, visto che notare qualche altro umano ti porta alla memoria il Deserto dei Tartari di Buzzati.

Un Boeing 777ER ha 346 posti. Ieri eravamo in 7 a bordo, con l’obbligo di non muoverci dalla poltrona assegnata al check-in, di non sostare nei corridoi, e di limitare al massimo gli spostamenti verso i bagni. L’equipaggio indossa, oltre a mascherine e schermi, delle tute monouso che li fanno apparire come agenti della scientifica.

La gentilezza del servizio a bordo ha lasciato il passo a rigide procedure, se escludiamo un frettoloso benevuto particolare a me come passeggero, visto lo storico status “siderale” del programma Frequent Flyer.

Le 6 ore in aria passano, senza riconoscere i ritmi e le cadenze di cos’era viaggiare prima del COVID-19.

Il Terminal 3 di Dubai, crocevia più trafficato del pianeta, è irriconoscibile.

Lo sciame di umanità che totalizzava, nel 2019, il bel numero di 87milioni di passeggeri all’anno, e facendoci aiutare dall’algebra di una media stupida, questo ci dice che tutti i giorni della settimana ci sono circa 240mila passeggeri che pascolano tra i gates …. bene, quello sciame multi-etnico non c’è. Non c’è più.

Siamo 10 passeggeri in tuttal’arrival hall, e i caroselli di bagagli sono muti, come tutti i tabelloni delle informazioni. Passiamo un’immigrazione solitaria, con un solo varco aperto, dopo aver registrato anticipatamente la nostra destinazione di quarantena. Un plotone di infermieri in tute spaziali è pronto a scovolinarti il naso, mentre si scarica un’App che mi informerà sul mio stato di salute e di contagio.

Una squadra di Tesla nere, omaggio del Governo di Dubai, ci aspetta all’uscita per portare a casa noi pellegrini del Paese dei Castelli di Sabbia, smarriti in giro per il pianeta dalla chiusura degli spazi aerei: la Sheik Zayed Road è vuota, il coprifuoco dalle 22 alle 6 di mattina è ancora attivo.

Sono a “casa”.

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