Capsule

Ho sempre pensato fosse l’apogeo della claustrofobia, dove non avrei potuto resistere più di pochi minuti, invece ho dormito benissimo, e potrei anche ripetere l’esperienza, ma solo qui, in Giappone.

Una notte passata dentro un Capsule Hotel, dopo che un sigaro volante mi ha scarrozzato per una decina d’ore dal Paese dei Catelli di Sabbia, a quello del Sol Levante, è un’esperienza che da tempo volevo fare, combattendo contro la ritrosia che soprattutto le mie dimensioni mi impongono, in una parte del mondo che porta dalle 3 alle 5 taglie inferiori alla mia.

La prenotazione on-line indica un prezzo e una fascia oraria estremamente conveniente, per essere in una delle megalopoli dove il costo della vita è tra i più alti del pianeta:  con 50 euro passi agilmente una dozzina d’ore dentro “9h Narita Airport”, il Capsule Hotel a pochi passi dal terminal degli arrivi e partenze internazionali.

All’arrivo ti viene consegnata la chiave dell’armadietto, e un kit composto da un paio di asciugamani, uno spazzolino da denti e una vestaglia da indossare quando ti muovi nelle parti comuni. Tonalità grigie e blu scuro fanno da costante, in un silenzio totale, dove posso sentire il mio respiro malgrado ci siano quasi un altro centinaio di ospiti, qui nella sezione maschile.

L’area degli spogliatoi, dei bagni e delle docce, tutto in una pulizia e igiene totale, assomigliano a quelle di qualche palestra minimalista, ma senza la caciara “pallone-politica-figa-cazzo” che ricordo quando vivevo ancora in Italia. I bagno hanno cessi multi funzione, dove puoi scegliere anche un gentile accompagnamento musicale alle tue funzioni biologiche, oltre ad una serie di getti pulitori.

L’area del sonno assomiglia ad una nave spaziale: allineati su due file sovrapposte, e indicati da numeri e freccine, un centinaio di celle sono illuminati da una fioca luce, che però può essere aumentata una volta che sei dentro.

Lo spazio del cubicolo è generoso: una volta sdraiato di schiena sul futon, le braccia tese non raggiungono il soffitto della cella, come i gomiti hanno ancora spazio. Non dico ci si possa stare in due, ma i letti degli aerei dove volo settimanalmente sono decisamente più scomodi. I riflessi sulle pareti, e una bordatura nera che contiene un paio di interruttori, ti danno una sensazione di dimensione che fa sparire qualsiasi senso di oppressione. La tenda, che ho lasciato aperta, ti concede una totale privacy.

Solo in Giappone, però. Qui la cultura del silenzio e del rispetto mi ha fatto solo ascoltare il frusciare di monaci in vestaglie grigie attorno a me. Qualche starnuto e colpo di tosse. Nessuno parla, nessuno chiacchiera, nessuno ascolta chiassosi social media. Ordine e pulizia guidano anche l’uscita di tutti gli inquilini, e quando abbandono il posto pare nessuno ci sia mai passato.

Salgo su un proiettile che viaggia su rotaie, diretto verso sud.

 

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