Costruito nel 1967, il People’s Park Complex a Chinatown (Singapore) è un mix tra residenziale, retail, e food court, che attrae una popolazione locale, in diretta opposizione all’area dall’altro lato di New Bridge Road, più frequentata da turisti. Il monolito di 31 piani, esempio di architettura “brutalist”, colorato in verde e giallo (tutti un filo sbiaditi da 50 anni di pioggia tropicali), detiene il record per gli ascensori più inaffidabili di Singapore, visto che pare almeno 6 volte al mese gli inquilini si lamentino delle persone bloccate fino all’intervento della manutenzione.
L’anno scorso ci son salito con un grappolo di locali, ortodossi della pellicola, che pascolavano me e la Signora Tedesca a Telemetro, impressionando qualche metro di pellicola. Ovvio la sfiga sia stata un cecchino, e ci siamo bloccati dentro la cabina di un ascensore in 5, con delle dimensioni che, quando respiravo, non ci si stava tutti.
Quando sia sabato che domenica scorsa sono tornato in zona, cercando immagini per una storia sulla terza età nell’Isola Stato, mi son ben guardato dall’entrata nella garitta, e ho pascolato soprattutto nell’area della Food Court, e del mercato nei due piani superiori. Domenica è cominciato un soft-lockdown qui, grazie all’ondata di infezioni per la variante Indiana: vedete quindi immagini di un “prima” e un “dopo” le restrizioni.
Appena uscito dalla MRT, che qui sotto incrocia sia la DownTown che la NorthEast Lines, si possono intravedere gli inossidabili ciabattini, coperti sotto teli anti pioggia, seduti sui loro sgabello alti poche decine di centimetri, martellano e risuolano incuranti del caos primordiale nel quale si trovano. Caos silenzioso, visto che siamo a Singapore.
Lascio sulla sinistra l’accesso residenziale, e la shopping mall multipiano, con le sue scale mobili che sono un trionfo dell’ astrattismo nella movimentazione interna, e vado verso l’open market a destra. La Food Court – al solito – celebra la capacità di cucinare qualunque cosa in qualsiasi modo, offrendo una portata per pochi dollari, e gli stalli più ricercati hanno file di decine di persone, capaci anche di aspettare un paio d’ore per la loro scodella di noodles con anatra e cipollotti. Un amico locale mi dice che sia ancora uno dei posti dove si mangi meglio, e i due piani di dry market che la sovrastano, il posto dove comprare meglio a Singapore.
Il piano superiore è il trionfo del tessile, dove tra un negozio di tessuti e un altro negozio di tessuti, c’è un terzo negozio di tessuti. Devo tornarci a trovare una stoffa divertente per poi farmi cucire delle maschere che siano un filo più creative dell’azzurro o verde sbiaditi di quelle in carta.
Singapore ha tracciato una serie di nuovi cluster di infezione, sia locale che importata, e con proverbiale efficienza ha reagito. Chiusi tutti i ristoranti e tutte le food court. Chiuse palestre e vietati gli assembramenti oltre le due persone. Chiusi gli uffici, se non per attività di emergenza, e tutti nuovamente a lavorare da remoto. La città si è svuotata: ieri la MRT e la mall dove vado a prendere da mangiare erano post-apocalittiche con solo pochi bipedi sciabattanti, una millesima parte del normale, ordinato, affollamento. Negozi e mall ancora aperti, ma con limite di 1 persona ogni 16 metri quadri. Scuole tutte chiuse fino alla chiusura del periodo scolastico.
Taiwan ha fatto lo stesso, a memoria della loro strategia vincente sull’ondata dello scorso anno. L’Australia ha chiuso partenze e accessi. I paesi qui intorno stanno tutti dirigendosi verso le chiusure, e la China ha ancora tutte le restrizioni che impediscono ad un pelato obeso con una Leica M in mano di entrare. Spero ci sia cautela nelle aperture che leggo stanno iniziando in Italia: qui la lezione è che basta nulla per tornare nel disastro.
Foto con Leica M10R e un Zeiss Bigon 21mm f2.8 che ho raccattato qui, nuovo in occasione al 50%: vedo che, come insegna il grande Marco Cavina, “la proiezione poco telecentrica di questi obiettivi, la cui pupilla di uscita è molto vicina al piano focale, crea qualche problema ai bordi con i sensori full-frame, perchè l’incidenza della luce agli angoli è eccessiva”. Detto da un pivello come me, talvolta i colori vanno in direzioni tutte loro, ma quello che mi piace è condividere qualche momento di vita, qui in Asia.
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