“I am not thinking, I’m just pretending I am thinking”, mi risponde Lena, mescolando il suo sarcasmo sovietico, con un sorriso emblematico, appena accennato dalle labbra sottili.
In transito tra differenti universi, amica di amici che ho sempre ancorati, malgrado siano oltre 10 anni che ho lasciato Mosca, mi aveva mandato un messaggio, “Sono per un giorno ad Abu Dhabi, hai tempo per un caffè assieme?”. “It’s Saturday and I’m off: you gonna have the best of Mau-kodak-moments for sure”, le ho risposto.
Ormai ho la naturalezza di un consumato tour operator, e quando la incontro accendo il programma cantastorie, mentre osserviamo dal mare il profilo della città, e qualche barca esce pigramente a puciare lo scafo in quel tratto di mare che, invece di unire, separa Sciiti e Sunniti.
Naturale, istintiva, quasi brusca nella sua traduzione dal Russo all’Inglese, mi dice “Take it!”, indicandomi il suo telefono, permanentemente dettato sull’app “Camera”, e aggiunge “make me beautiful” mentre rimane in piedi davanti sul parapetto, riuscendo con naturalezza ad essere simpatica e comunicativa.
“Ymknny ailtiqat sura?” [“Posso scattare una foto?”], chiedo al vecchio che guarda la vita con occhi pazienti, aspettando che la brezza da nord gli porti l’odore del mare. Il mio arabo è patetico, ma mi comprende, lentamente annuisce, e dico a Lena di sedersi accanto a lui, sulla panchina: due sorrisi, due mondi, due vite che si incontrano e si toccano per pochi istanti, nei quali la Signora Tedesca a Telemetro fa da testimone.
Le note di “Abusey Juncton” mi suonano nelle orecchie, mentre continuo a pensare che la vita sia bella.
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