Vola, l’astrazione.
Lo fa pindaricamente, ma anche dronualmente.
Zenitalmente, dronualmente.
Sapete, per Aristotele l’astrazione è ciò che coglie l’intellegibile nel sensibile.
Ma l’intellegibile s’interfaccia alla soggettività del percettore.
Che sa separare, oltre che discernere.
Non fermarsi alla letteralità, eccioè.
Siamo approdati al concetto di riconoscibilità.
Saperla cogliere, o non curarsi di definirla.
Reinterpretarla, svincolandola dal documentario e dal funzionale.
Vola, l’astrazione, dicevo.
Anche dronualmente, precisavo.
Zenitalmente, precipuamente.
Drone vola in guisa d’uccello.
Non ancora zenitalmente, e tuttavia il capino da volatile leggermente inclinato amplia il sottostante della visione, già ariosa per il fatto d’essere elevata.
I colori sono ancora fedeli (non siamo in etica, ma nella relatività della mediazione).
Il topografo individua la confluenza del Lambro nel Po.
Poi il drone punta giù.
Il gesto è già astrattivo, in quanto estrattivo.
Il drone ha estratto dalla visione ordinaria una prospettiva di arduo attingimento.
Eppure aleggia ancora la volgarità dell’evidenza.
Sì, la volgarità dell’evidenza.
Una automobile disvelabile come tale.
Altrettanto alberi e rocce.
Poi il conduttore del drone si perita far collimare la diagonale di una fluviale spiaggia con gli angoli del fotogramma.
E toglie i colori, con esso rarefacendo riferimenti.
Ora è diventata una montagna.
Sì, è divenuta una montagna.
La s’immagina verticale, per vettoriale pseudocogenza.
Per vettoriale pseudocogenza perché piace – appaga spirito ed intelletto – fingere che la perentorietà della grafia alluda a qualcosa di verticale, rendendo cielo ciò ch’era acqua.
Indi i colori tornano.
Minor anelazione al verticale, qui.
Minore per meno pronunciato dinamico vigore della forma.
Ma i colori – il tono non è inventato, solo virato ed amplificato – spingono verso un altrove remoto.
Ecco, come nel titolo: zenitalità / cromia / astrazione.
E geometria, con il dolce inganno e l’artata veicolazione del suggerire in base a direzione e contenuto.
Cose vi erano, una interpretazione attiva ha apportato distanze.
Distanze?
Nel sensibile, un intellegibile schizzinoso dell’universale riscontrabilità.
Chiedo venia, c’è sempre di mezzo Coleridge con la sua suspension of disbelief.
Non di rado la natura offre spettacoli stornanti per casuale metafisica.
Casuale metafisica, ergo involontario allontanamento dall’esperienza oggettuale (più che oggettiva).
Col drone, epperò, strumenti sovrappongonsi.
La visione verso il basso da elevata quota; la postproduzionale giostra tra cromie e scala di grigi:
ove la la natura immota sospende il giudizio, l’umano intervento sussurra alternative.
Ecco, la fotografia: non tradire, immaginare.
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Claudio Trezzani
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