Moda.
Dal latino “modus”, lemma assai generico epperciò atto a contenere cose.
Un sacco di ciarpame, contiene.
Sì, se ci riferiamo all’accezione invalsa.
Oltre alle tessili sfilate, comportamenti condivisi.
Tutto il mio vibrato disprezzo, per molti d’essi.
Può allora – al mio accigliato esame – una moda risultare virtuosa?
Sì, se non principia esserlo.
Una cosa prima che divenga moda, eccioè.
Una cosa imbottita d’acume e consapevolezza, prima che sia adottata da una moltitudine non in grado d’afferrarne l’essenza.
Viaggiare dipingendo in loco, un succoso rispolvero dell’età dei Grand Tours.
Illuminati programmi televisivi stanno mostrando la felice attitudine.
Passo successivo: viaggiare dipingendo in loco / extra bonus scattare qualche Polaroid, magari da donare immantinente agli occasionali interlocutori.
Polaroid, fotografia.
Qui fuoriesce Cesare Martinato.
Potrà o no aver occasionalmente messo dietro alle sue ponderose fotocamere un dorso Polaroid, ma con lui il fuoco è su immagini intimamente sentite e preziosamente realizzate.
E nello zaino, carta e matita.
Sì, disegna, Cesare.
Acquarella, pure.
Anche Antoniou Platon disegna.
E lo fa su dove casca l’asino.
Su ritratti estemporanei, è la prova del nove di tecnica e talento.
Poi, quando interpone tra il soggetto e sè stesso una Leica od una Hasselblad, è il fotografo che conosciamo (non tutto ciò che esprime mi colpisce di pari intensità, e tuttavia).
Ulteriore binomio.
Fotografia e musica.
Gerardo Bonomo.
Conosce assai del materiale, ma sa anche guardare entro sé stesso.
Ergo, ispiratamente estroflettere.
“Lent et douloureux”, leggiamo.
Non è la squadrata prescrizione in partitura del mussorgskyano “in modo russico, senza allegrezza”.
Tutt’altro: nonostante l’orgia dei dittonghi (in “douloureux”) graficamente inganni con il sospetto di una greve alliterazione, se pronunciato a voce il dettame promana una dolce – macerata ma rotonda – sofferenza.
La stessa che magistralmente suggerisce lo sfuocato ed il taglio, del bonomiano scatto.
Musica e disegno, ora.
Traverso immagini, s’intende.
Dan Tepfer si produce in una struggente interpretazione di “Darn that dream”.
Contemporaneamente, Silvano Cardin guida la sua mano destra verso astrazioni consegnate ad un foglio (e a noi mediante filmato).
Avrebbe approvato Jimmy Vab Heusen, autore della musica?
Reputo di sì.
Perché ogni cosa converge, s’intride, ritrae o supera.
Fotografia, parola, suono.
Una esplosione centrifuga che nasce da una fascinazione centripeta.
La mente cucina cose, il braccio predispone il volo.
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Claudio Trezzani
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