Una fisicità meditata

Il nostro olfatto non è più quello di quando abitavamo le caverne.

E accostare l’orecchio al terreno sospetto non sortisca più alcun risultato informativo.

E l’orientamento…

Insomma, sciaguratamente siamo meno animali.

Così, usciti dalla caverna di Stefano Vitali non arguiremmo suoni a contatto con il brecciolino.

Né, senza navigatore risulteremmo subitaneamente edotti del punto cardinale, tra quelle Dolomiti.

La caverna di Stefano Vitali?

Volessimo usar metafora, azzarderemmo un riferimento alle caverne platoniane, per come – da esse affrancandosi – fuori si spalanca la conoscenza.

No, qui non è la conoscenza che ci porta fuori.

Qui è un atto fisico a farlo.

Sì, subito, senza mediazioni, un atto fisico!

Ci ho impiegato una frazione di secondo – intendo – a risultare corporeamente ammaliato dalla fotografia di Stefano.

La conoscenza – la razionalizzazione, l”individuazione di coordinate stilistiche e semantiche – viene dopo.

Anche pochi attimi dopo, ma è la palpazione iniziale che tosto satura la delibazione.

Scala di grigi d’incomparabile maestria.

Sì, dopo potremmo a lungo discettare della felice distribuzione dei pesi nella composizione

Ma quella scala di grigi lì è carnale.

Una cosa subito attingibile al tatto, da toccare con ancestrale incantamento.

Carnale, dicevo.

Francesco Nigi non è da meno.

Il piatto gronda maggior succulenza nell’accezione commestibile del termine:

E’ il lastricato ad indurre l’erotica sensazione.

E’ il sole che ama, lì.

Ma anche lì – dopo – ci si può beare della generale architettura.

Anche lì il felice linguistico ausilio delle quinte.

Più contrasto in Francesco che in Stefano, ed una interpretazione più frecciuale della profondità.

In entrambi i casi, epperò, carne.

Se Stefano mira all’apollineo, Francesco getta feroci stille di dionisiaco in un impianto che complessivamente – e con sopraffino sorveglio – permane cartesiano.

Ma carne, carne, carne.

Sapete, anche senza clava sappiamo addentare ancora senza mediazione di cottura.

Grazie ai due per consentircene prelibata facoltà.

 

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Claudio Trezzani

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