Una comparazione… Terra/aria

In questo articolo svolgerò due ordini distinti – ma paralleli – di considerazioni.

Benché abbia totalizzato un monte/ore di navigazione aerea con droni assimilabile ad un … viaggiatore di commercio e sia strenuo propugnatore della facoltà espressiva ch’essi consentono, non sono immemore dei valori esprimibili con una attrezzatura “terrestre”, cui tutt’ora attribuisco centralità nel personale flusso di lavoro.

C’è un modo di avvicinare i due mondi di ritrazione?

Letteralmente, c’è.

Poiché se si considera la questione sotto il profilo della prospettiva inedita resa possibile dai droni, in determinate circostanze l’impiego di potenti teleobiettivi montati su fotocamere a terra consente appunto di “avvicinare” – praticamente oltre che metaforicamente – i due ambiti.

Il forte ingrandimento proprio di una lunga focale permette infatti di scalfire il muro di inaccessibilità oltre il quale regna sovrano lo spazio dronualmente attingibile.

Non si tratta di una vera penetrazione, bensì appunto di una scalfittura: il problema della parallasse connesso ad episodica impossibilità di elevarsi è solidamente presente a ricordarci l’insostituibilità, in molte circostanze, di essere nelle limitrofie dell’oggetto di ritrazione.

Quando però la concorrenza dei due mezzi ci consente un confronto, l’attenzione si può spostare sull’analisi di ulteriori parametri.

Questo ci porta alla seconda questione: quanta cura progettuale i costruttori hanno riservato all’implementazione della funzione videografica nelle due diverse categorie di dispositivi?

La risposta è articolata, ma possiamo abbozzare una lapidaria sintesi, pur in odore di manicheismo: nei droni, di più.

È questa una contraddizione che si spiega solo telegraficamente ripercorrendo la cronologica progressione della rispettiva evoluzione tecnica.

Nella fotocamera a brandizione diretta la funzione video è stata introdotta come facoltà accessoria, mentre nei droni questa possibilità è stata concepita in chiave “action camera”, ovvero come risorsa di spettacolarità intimamente connessa al volo.

Ecco così spiegato il paradosso: nonostante la qualità intrinseca di una fotocamera dotata di sensore di generosa dimensione (favorevole rapporto segnale/disturbo che discende da una maggiore capacità dei fotoricettori di raccogliere la luce, più affilata nitidezza originata dalla non alta frequenza spaziale di lavoro, minore profondità di campo al servizio della selettività di messa a fuoco), essa non ha modo di dispiegarsi compiutamente a causa di scelte – talvolta giocoforza, in altri casi per finalità comnerciali – operate dai fabbricanti.

Nei droni la situazione è speculare: pur scontando i limiti di qualità di immagine generalmente presenti nei sensori e negli obiettivi, sovente l’approntamento della funzione video gode in essi di una maggiore attenzione rispetto a quanto avviene nelle fotocamere a brandizione diretta.

In questa situazione un fattore chiave spicca per pertinenza: il bit/rate.

Esso esprime la quantità di dati immessa nell’unità di tempo. In altri articoli mi sono diffuso specificatamente su questo ed altri aspetti correlati, nelle loro implicazioni di causa ed effetto

Nell’economia di questa trattazione è sufficiente sottolineare come il bit rate sia indizio indiretto (come anche il rapporto di sottocrominanza) del livello di compressione, e quindi della “cernita negativa” (la forzatura progettuale a scartare scegliendo) che mortifica la cattura o il trattamento dei dati.

A questo proposito un semplice raffronto chiarirà all’istante il problema: mentre con i droni è ormai raggiungimento non più considerato eclatante la soglia dei 100 MB per secondo anche nel settore merceologico che si situa tra il consumer e il prosumer (per ricorrere ad una tecnologia comunemente invalsa), nel filmato a corredo di questo brano – realizzato con una fotocamera “viceammiraglia” tra le reflex di formato Leica, di appena una generazione indietro – il dato di trasferimento/dati ammonta a meno della metà.

Ecco dunque la spiccata contraddizione: questo filmato è stato realizzato con una pletora di diversi obiettivi che ci mostrano varie inquadrature delle cascate, tutte beneficianti ab origine dell’elevata qualità d’immagine propria del modello di fotocamera, ma ecco che subito il processore si incarica di mortificare la raccolta/dati: proprio come se nelle stesse cascate ritratte si riducesse di molto il …regime acqueo.

Reputo calzante questa analogia, perché restituisce visivamente – quanto ad elaborazione prefiguratoria nella mente d’ognuno – l’entità della perdita.

Con i droni, viceversa, abbiamo una qualità intrinseca notevolmente minore ma mediamente meno compromessa in fase di trattamento del dato.

Odiernanente, lo scarto tende a ridursi, ma gli esiti sono ancora figli dei presupposti iniziali: fotocamere nate per non fare filmati; droni vocati alla spettacolarizzazione video.

Basti pensare che tuttora mentre la minor compressione possibile dei filmati ottenibile nelle reflex o mirrorless è attingibile soli abbinandole – tramite l’uscita HDMI – a registratori esterni appositamente concepiti, in ambito dronuale esiste da tempo un modello – declinato in varie versioni – che consente una vera e propria registrazione video RAW “in camera” con l’ausilio di una scheda dedicata.

Dopo il bit/rate, anche una puntuale disamina del frame/rate ci condurrebbe ad una parallela individuazione di non coincidenti “filosofie” progettuali, assumendo come parametro discriminante la duttilità di impiego finale.

Ciò però dilaterebbe non senza dispersività la presente trattazione.

Così, come da titolo, abbiamo esaminato una ripartizione terra/aria che non è un …missile, accostando l’espressione alla nota terminologia militare.

Piuttosto, si è osservato come diverse impostazioni abbiano generato vari esiti, i quali con il progredire – non sempre lineare, come altrove ho rilevato – della tecnologia tendono ad attenuare le disparità, pur se non ancora sfociati in una fruizione omnicomprensiva contenuta in un singolo dispositivo.

 

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Claudio Trezzani

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