Nell’articolo “L’accoltellatore del mare” esaminavo il variabile rapporto di veicolazione tra informazione ed interpretazione che una fotografia può avere.
Esso – spiegavo – si sostanzia di quanto una immagine ci dice e di quanto invece ci nasconde, con quest’ultima caratteristica vista come trampolino verso un altrove anziché come limite cognitivo.
Nella fotografia a corredo di questo brano il bilanciamento tra le due istanze – informazione ed interpretazione – esprime una miscela alquanto differente.
Il soggetto nella parte sinistra del fotogramma parrebbe la quintessenza dell’inesprimibilità: postura resa statica dall’ammanettamento (è una informazione che Vi fornisco ora, ch’è la parte inferiore del tronco non figura nell’inquadratura), il che ostacola l’ interpretazione del linguaggio del corpo, e soprattutto il viso ofuscato. In questo modo, abbiamo sparuti indizi su come la persona stava vivendo la situazione, se non la postura relativamente eretta e lo sguardo non distolto dall’interlocutore. Poi però un elemento grafico – che è seme oltre a segno – squarcia la cortina di evanescenza: la sovrimpressione ci informa di quanto il soggetto stava dicendo. E cioè: “a monkey can’t sell bananas”. Il significato della metafora è intuitivo, e ve ne riferisco il contesto: fermato per sospetto possesso di droga, il dichiarante tende a minimizzare il suo ruolo onde non lo si ritenga spacciatore: una scimmia non può vendere banane, ergo io sono solo un consumatore di modica quantità. Sono in grado di aggiungere che il poliziotto subito dopo risponde (se ne ode la voce, nel filmato di cui questa fotografia costituisce fermo/immagine): “Good analogy, I like it”.
Cosa abbiamo, dunque?
Da una parte, un elemento chiarificatore esterno alla cattura visiva.
Dall’altra, una asincronia che la mancanza di flusso temporale ci priva di risoluzione.
Cosa intendo dire?
Che il fermo/immagine mostra il momento in cui il soggetto effettua la sua dichiarazione. In quello stesso momento il poliziotto è ancora in fase elaborativa: le parole gli stanno progressivamente giungendo, una sintesi valutativa è prematura, dunque la sua espressione facciale è di meditabonda attesa. Solo qualche istante più tardi, avendo completata la comprensione della frase, il pubblico ufficiale atteggerà il suo viso a divertita approvazione, in accordo con la risposta di cui Vi ho reso edotti.
Così, la fotografia in parte “inganna”: non avremmo supposto che un soggetto raffigurato in una situazione per lui critica proprio in quel momento uscisse con un motto quantomeno brillante.
Del resto la mia operazione sigla un doppio arbitrio: aver estrapolato un attimo in un documento pensato come flusso; aver scelto un momento che sottolinea l’asincronia, ovvero l’impossibilità di cogliere simultaneamente azione e reazione.
Ecco il linguaggio fotografico: senza scritta e senza suono, non avremmo saputo cose; senza scansione temporale, ci manca la correlazione tra azione e reazione.
Ricordiamo, però: la scelta del fotogramma è stata mia, non del realizzatore del filmato.
Cosa se ne evince?
Che la fotografia è uno strumento potentissimo: apporta nel momento stesso in cui toglie.
Si stringe un patto con il diavolo, ma anche con l’angelo:
tu sceglierai, e la scelta ti condurrà agli inferi oppure alle elevatezze.
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Claudio Trezzani
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