Tinta vibrazione

Ah, le traduzioni.

Da fotografi, sappiamo che nella manualistica esse possono dar luogo a fraintendimenti.

Così come nella trasposizione italiana del lessico di alcuni software.

In quest’ambito, vi sono stati e vi sono clamorosi equivoci.

Non nel caso di “vibrance”, che gl’incaricati sogliono tradurre con “vividezza”.

Non male, non soverchiamente s’allontana dal significato originale.

Epperò torniamo al lemma inglese.

Vibrance, da to vibrate, l’aggettivo è vibrant.

Che gli anglosassoni contraggono in vibe, gergalmente.

E’ qualcosa di ampio, e di predisposto alla gioia.

Quando Issei Watanabe, figlio di Ryuichi, percorre trasversalmente una corda di violoncello, essa risuona.

E ancor di più esulta quando un polpastrello d’Issei s’agita più sù, con la sinistra.

Vibrare, risuonare, esprimere gaiezza.

In ogni caso, intensità.

Tanto che al di fuori del settore fotografico vibrance può essere anche tradotto in vivacità.

Coi postproduzionali programmi, designa quel comando che enfatizza tinte non già saturate.

Come dire:ciascuna d’esse deve partecipare al lieto canto.

E sia Elaine che Julian Greaves conducono il coro con mirabile maestria.

Sì, le due fotografie a corredo di questo brano.

I binari di Elaine, e la dinamica avvolgenza del contorno.

L’illusione che non via sia una prefissata temperatura in gradi Kelvin, per come ogni voce si lascia udire con delizia propria, e nel contempo si sposa armoniosamente con l’insieme.

L’edificio di Julian.

Sì, è un edificio.

Ma trasfigurato da un tripudio cromatico.

Vivido, ma non orgiastico.

Vi è misura, nella forza.

L’astronave aliena è appena atterrata, intende elargire calore e luce, coi colori.

Colori, vibrazioni.

Ogni cosa si tende, e tende all’emozione di chi guarda.

 

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Claudio Trezzani

https://www.saatchiart.com/claudiotrezzani

 

 

 

 

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