Tessuti.

Colori complementari.

Accostati, s’esaltano.

Una delle coppie, rosso e verde.

Su queste cromie verte l’onirica fotografia di Mukti Echwantono. 

Una dualità che è anche alterità?

Contrasto in fusione, preferisco in questo caso definire.

Il rosso è della persona, e del tessuto che lo lega alla natura, verde.

Ma la trama è omogenea.

Lo stesso tessuto nel… tessuto, nella figura umana, nella natura.

Tutto è tessuto, qui.

Un mirabile arazzo costruito su toni materici, che non vedono differenza tra l’animato ed il non.

L’icastica immagine di Wolkmar Thorandt, ora.

Icastica perché l’impressione è subitanea, violenta.

Violenta nell’immediata individuazione di una nettezza che separa senza disarmonia.

Mi riferisco al vestito.

Lo spietato rigore del taglio.

Balza fuori dall’immagine, quella vigorosa geometria.

E si fonde con la tricologica massa, in una neritudine che crea un piano in sé concluso.

Come fosse staccato dal resto del contenuto.

Staccato, ma non avulso.

Non che non sia complanare al muretto in primo piano.

E non che questo non partecipi alla sostanza dello sfondo.

Ma il suo sembiante esprime una autonomia che procura una vertigine per quanto dice – anche – altro rispetto a tutto ciò che vi è nell’inquadratura.

Per un attimo, scompare l’ambiente.

Altrettanto brevemente, svanisce quel volto espressivo.

Perché quel taglio è una calamita, reclama sospensione d’analisi.

Tessuti

Fotografie con tessuti.

Quanto può narrare un tessuto.

Cosa può essere un tessuto, anche quando non lo è.

Una enorme potenza espressiva, plurilinguistica.

Plurilinguistica perché il ruolo di volta in volta assunto può variare per siderali distanze.

Con Mukti tutto è tessuto.

Con Wolkmar il tessuto è una frusta che sferza, indi si ritrae.

Si ritrae perché, ricevuto il colpo, la mente solo in seconda battuta spazia.

Ecco, la Fotografia.

Portare dentro eppoi fuori.

Comunque, altrove.

 

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Claudio Trezzani

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