Nel mio precedente articolo “Una forma precipite della natura” avevo principiato trattare alcuni aspetti della ritrazione fotografica delle cascate.
Data la vastità dell’argomento, avevo concluso che sarebbe stato necessario far seguire ulteriori brani, e che il successivo avrebbe iniziato con una disamina dei filtri a densità neutra.
Circa l’opportunità del loro impiego in relazione ai presupposti tecnici di regolazione della fotocamera mi ero già diffuso, ed è dunque giunto il momento di esaminare tali accessori nella loro peculiarità.
Ad alcuni lettori risulteranno familiari le sigle e le codifiche di classificazione dei filtri a densità neutra, ad altri meno: tali nozioni di base sono facilmente reperibili, mentre qui preferisco concentrarmi sull’uso effettivo di questi dispositivi. Allo stesso modo, eviterò di sviscerare la dicotomia tra filtri circolari avvitabili sulla filettatura anteriore degli obiettivi e filtri rettangolari da anteporre con appositi supporti (solo osservando: il “lungimirante risparmio” che solitamente si ritiene conseguire con l’adozione di un unico filtro rettangolare di dimensione eccedente il diametro/filtri maggiore tra gli obiettivi che si possiede può non essere eclatante, stante il costo talora esorbitante rispetto alla valenza meramente meccanica di taluni adattatori).
Considerando i filtri circolari, vi può essere la tentazione d’indulgere alla comodità di quelli a fattore variabile, ma sconsiglio questa soluzione, in quanto questa categoria di filtri tende ad essere di minore qualità rispetto ai fissi. Tra questi ultimi, è importante sceglierne di comprovata qualità, poiché un filtro scadente può incidere pesantemente sul risultato finale. Per quale fattore propendere?
La gamma di luminosità che si può trovare sulla scena è estesa, e così non è situazione ideale disporre di un unico dispositivo. Eventualmente, si può abbinare il montaggio di un filtro a densità neutra con un polarizzatore (il quale, oltre alle sue funzioni proprie, determina un assorbimento di luce che si situa attorno ad 1 EV) e/o un filtro digradante, ma con due avvertenze.
La prima: una sovrapposizione multipla non può avere una influenza nulla sulla nitidezza delle immagini (ciò vale per qualsiasi cosa venga a sovrapporsi allo schema ottico originale, fatta eccezione per ciò che è stato concepito sin dalla sede progettativa, come ad esempio un filtro “vuoto” nel cassettino portafiltri di un teleobiettivo).
La seconda: con il perfezionamento delle tecniche postproduttive l’adozione di filtri digradanti “fisici” va parzialmente ripensata. A questo riguardo pensiamo ad una situazione che è tipica dello scenario che stiamo affrontando: la cascata ha per sfondo un cielo “incorniciato” dai due versanti opposti della valle in cui si trova, sagomandolo nell’inquadratura come un poliedro irregolare, condizione lapalissianamente lontana da quella ideale per un filtro digradante: un orizzonte sgombro, o quantomeno caratterizzato da valori di luminosità uniforme. Immaginiamo ora, ai fini della presente trattazione, di avere bisogno di un filtro che riduca drasticamente la troppo abbondante luminosità nel sito. Entriamo così nel mondo dei fatidici filtri “dieci stop”.
Dopo che li si è montati, la visuale a mirino e a monitor apparirà pressoché nera. Come focheggiare, allora? I moduli autofocus delle attuali fotocamere differiscono tra loro non solo quanto a velocità, ma anche per ciò che attiene la così appellata “sensibilità”. Con ciò si intende la capacità di un modulo di funzionare correttamente alle più scarse condizioni di luce.
Questo risultato nelle mirrorless, a differenza delle reflex, ha per ulteriore fattore di variazione la luminosità massima dell’obiettivo montato. Purtuttavia, anche ipotizzando che l’attrezzatura utilizzata sia allo stato dell’arte quanto a sensibilità e la luce assai abbondante, permane l’inconveniente che non si scorgerà ciò che la macchina “vede”.
Appare così necessario focheggiare prima, e solo in seguito collocare il filtro in posizione. Ciò presuppone alcuni accorgimenti. Anche se può risultare ovvio, occorre assicurarsi che la modalità autofocus sia stata esclusa, onde non incorrere in erratici tentativi “spontanei” del dispositivo successivi alla regolazione prescelta. Occorre poi considerare la possibilità – tutt’altro che remota, e particolarmente probabile con i filtri circolari ad avvitamento – che nel montare il filtro si modifichi inavvertitamente la regolazione del fuoco.
Ciò considerato, è opportuno prendere scrupolosa nota della posizione della relativa ghiera rispetto alle indicazioni fornite al momento della focheggiatura.
Qualora si stia usando un obiettivo grandangolare, oppure la cascata ritratta si trovi a considerevole distanza dalla fotocamera, si può dare il caso che la regolazione della ghiera vada posizionata sul cosiddetto “infinito”. Attenzione, però: non in tutti gli obiettivi questa posizione coincide con la completa rotazione della ghiera. In alcuni, infatti, un certo gioco di accoppiamento fa si che a fine corsa si abbia una focheggiatura diversa da quella ipotizzata: pertanto, risulta più affidabile l’indicazione serigrafata in pittogramma sull’obiettivo.
Per ciò che concerne lo scatto – prolungata l’esposizione essendo – rimane valido tutto il consueto armamentario tecnico e prassuale volto a scongiurare il micromosso: stativo (con la rituale sequenza di allungamento dei componenti che vede anteporre quelli di maggiore sezione), scatto remoto, autoscatto, alzo preventivo dello specchio, se presente, o attivazione del live view.
Ma come calcolare i parametri di scatto, quando i secondi del tempo d’otturazione si contano a decine?
Nel precedente articolo avevo già specificato che esistono applicazioni in grado di agevolare il compito, ma qui intendo aggiungere un particolare: l’importanza della sottrazione del fotogramma nero (darkframe).
Nelle lunghe esposizioni su supporto digitale alcuni fattori concorrono a generare un certo tasso di disturbo elettronico sull’immagine registrata. Nella pressoché generalità dei modelli di fotocamere è presente una funzione, attivabile a piacere, che si propone di ovviare al fenomeno effettuando una seconda esposizione, subito terminata la prima, in cui l’obiettivo non viene coinvolto nella cattura, e la cui durata è pari alla prima.
In tal modo la fotocamera sarà in istato di lavoro per un tempo doppio rispetto a quello impostato, e ciò indirettamente favorisce quella attitudine riflessiva che è propria a questo genere di sessioni…ma parlando di tempi, nella prossima puntata di questa serie di articoli sulla ritrazione di cascate parlerò di quando è giunto il momento di … andarsene, e di dove posizionarsi prima di farlo. Nel leggere, forse riscontrerete una reazione di sorpresa.
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Claudio Trezzani
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