Supporti e atteggiamenti

Sono per via. Ad un tratto scorgo signora alle prese con un bancomat. Indossa un vestito della stessa tonalità dell’impianto a muro. Vorrei derivarne un fotogramma dal sapore astratto ma non ho con me la fotocamera.

Pur riluttante, estraggo da tasca il mio smartphone. Lo uso esclusivamente per navigare in mobilità, è rigorosamente spento. Così occorre del tempo prima che sia attivo, nel frattempo un signore si avvicina alla signora in giallo, inconsapevolmente diminuendo la forza della composizione. Occasione perduta per mia colpa? Certamente, ma per una buona ragione.

Provo repulsione per la miserevole qualità fotografica offerta dai telefonini. Qualcuno dei sensori che li equipaggiano comincia ad essere leggermente meno lillipuziano di prima, ma gli obiettivi seguitano ad essere capocchie di spillo.

Come in altri settori merceologici, è perpetrato l’inganno. I costruttori fanno leva su ignoranza e pulsione deteriore. Forniscono l’illusione della qualità perché l’immagine è a misura dei piccoli schermi risoluti: quelli del dispositivo stesso, ché l’esito dell’esame crolla al cospetto di monitor professionali.

Anche l’immagine che si rimira all’interno del pozzetto di una Rolleiflex elargisce piacevolezza di anteprima, ma poi alle promesse seguono i risultati. E questo ci conduce alla seconda parte del rilievo: parlavo di ignoranza, e mi riferivo alla succitata incapacità di riconoscere la qualità.

Quando però accennavo a pulsione deteriore mi riferivo ad un assetto che favorisce sciatteria, nella più pervasiva forma che genera nocumento a sè e agli altri. Mi riferisco a questo: a differenza di una fotocamera professionale, segnatamente caricata a pellicola, con uno smartphone si ha tutto e subito. Ciò incoraggia superficialità, irriflessività, sciatteria. La sciatteria di inquadrare il soggetto senza cura, di scegliere senza cura il soggetto stesso, di scattare impulsivamente e indiscriminatamente.

C’è un altro esempio di come il mezzo influenzi negativamente il fine: l’uso di action camera tenuta a mano per usi impropri.

Assistiamo così, per citare un esempio eclatante ma ricorrente, ad impressioni di guida di autovetture nei quali il giornalista, prima di fissare l’action camera alla carrozzeria, la brandisce girando attorno all’automobile mentre disserta del suo aspetto estetico, e ciò mentre l’obiettivo fish eye del dispositivo ne fornisce una immagine deformata. In sintesi: ciò che cattura immagini è solo un mezzo, ma un mezzo capace di influenzare negativamente chi lo usa.

E chi lo usa influenza negativamente i fruitori delle immagini, ad un livello profondo: lo scenario offerto ed assimilato è quello dell’approssimazione, del considerare lecito l’errore, della ricusazione dell’impegno. Così si ispira un comportamento inappropriato anche nella vita quotidiana.

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Claudio Trezzani

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