Immaginiamo una foto che contenga un orizzonte marino al centro e una barca in basso a destra. Fatto? Bene, ora immaginiamo un cielo che occupa la metà superiore dell’inquadratura, e in basso a destra una figura umana in un prato. Fatto? Bene: le due fotografie sono uguali.
Uguali, che sciocchezza è mai questa? Eppure, in tutte e due l’orizzonte divide in due porzioni simmetriche la parte inferiore e quella superiore dell’inquadratura (supponendola in entrambe caratterizzata da una ratio di 3:2). In tutte e due esiste uno sfondo ed un primo piano ugualmente correlati. In tutte e due il soggetto in primo piano occupa la medesima posizione all’interno dell’immagine, ed è posta alla stessa distanza. E dunque, di cosa ci vogliamo lamentare
La fotografia è l’arte di assegnare pesi agli elementi presenti nella composizione, e nei due casi descritti la loro relazione reciproca è la stessa. Ergo, le due fotografie sono identiche… Abbandoniamo ora questo voluto paradosso, funzionale alla progressione del ragionamento.
Occupiamoci pertanto della due fotografie a corredo di questo brano: l’una mostra un’alba marina, l’altra un’alba aerea. Evidente la similarità, ma non la coincidenza di identità, che non sussiste.
Se parlando di colori le analogie sono ben più evidenti rispetto alla supposta uguaglianza delle due immagini che Vi ho chiesto di immaginare all’esordio di questo articolo, le due fotografie qui allegate hanno una identità distinta. Bella forza, direte: sono tutte e quattro (le due immaginarie e le due realizzate) diverse, ciò che conta è la natura del contenuto. Ma cos’è la natura del contenuto?
É l’intellegibilità delle parti, la facoltà di ricondurre la forma a funzione e qualità propria riconosciuta in modo condiviso. Ergo, quella del mare è tale perché c’è il mare, quella delle nuvole la chiamiamo così perché in basso c’è un letto di nuvole…un momento, hai detto “letto” di nuvole?
Si, avevate già capito: è un modo di descrivere metaforico. Ma se le cose stanno così, procedendo dello stesso passo, possiamo dire che anche quella coltre (…ops) di nuvole è un mare?
Si che possiamo. “Metafora” deriva dal verbo greco “metaphérein” che significa “trasportare”, “trasferire”. Addiveniamo così a due piani di lettura: dopo quella documentaria, che discerne la dinamica “reale” della situazione ritratta, vi è l’entusiasmante viaggio della mente che tutti noi possiamo intraprendere.
In tal guisa, le nuvole sotto il drone divengono un mare o qualsivoglia altro elemento in cui la nostra psiche intenda (ma vi è necessità oltre che volontà: ai moti dell’animo non si comanda) “trasportare”, “trasferire” la percezione. Siamo approdati al potere evocativo.
La direzione del percorso mentale dipende dal nostro vissuto, latore delle esperienze – umane e culturali – fatte, non disgiuntamente dalla nostra condizione emotiva.
Non vi è concordanza tra i filosofi rispetto al ravvisare differenze tra un significato letterale ed uno figurato, ma al di qua di ogni dissertazione di matrice semiotica ciò che a noi fotografi importa è la vertiginosa spinta centrifuga che si innesca durante l’individuale visione di una fotografia: in ognuno singolarmente, si aprono mondi.
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