La fotografia allegata a questo brano.
Promana silenzio.
Ciò in quanto si intuisce l’assenza dell’elemento umano, che si suppone dedito al riposo.
Il silenzio è inoltre evocato dalla parcità degli elementi costitutivi l’inquadratura, che si percepisce antitetico ad un rumoroso affollamento di componenti.
L’immagine è stata realizzata alla sensibilità nominale, ma si fosse optato per una amplificazione del segnale essa sarebbe stata rumorosa per la presenza di artefatti.
In quest’ultimo caso avremmo registrato una compresenza di silenzio (tono emotivo) e rumore (rilevazione tecnica).
Può dunque una fotografia esprimere contemporaneamente concetti antitetici?
Sino ad ora per descrivere l’immagine abbiamo impiegato parole.
Già, parole.
L’etimologia rimbalza dal greco παραβολή al latino parabola.
Si parte da una entità geometrica per approdare ad una semantica.
E l’accezione odierna parla – c.v.d. – di un insieme organico di suoni o di segni che reca un significato autonomo.
Suoni o segni.
Dell’origine del termine è rimasta la poliformità ed il senso di paragone.
Ergo, di relatività.
Ci sono più modi di esprimere, dice la parola “parola”.
Vedete, siamo già al bisticcio.
Come poco fa, quando dicevo che la parola parla.
Dicevo?
No, scrivevo.
Eppure non vi è contraddizione.
Si dice che il pensiero non può prescindere dalla parola.
Ma abbiamo visto essa presentare più volti.
La Fotografia è parola in segno.
Lasciamo stare lo “scrivere con la luce”, che ne rappresenta fedele traslitterazione etimologica ma che ora è espressione in bocca (o sulla penna) di troppe persone che non si peritano approfondire l’argomento.
Sì, la Fotografia è parola in segno.
Il luogo ove la metafora s’incarna.
Il momento in cui silenzio e rumore dialogano.
In cui assenza e presenza vicendevolmente nutronsi.
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Claudio Trezzani
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