Come sapete, anche in fotografia e videografia i topos visuali vanno soggetti a mode. Tra di essi, uno che resiste e prolifera copiosamente (per la gioia dei contributors di agenzie di microstock) è quello che prevede una situazione bucolica caratterizzata da basso contrasto, smodato controluce e plateale esibizione di flare e ghosting (purtroppo in questa situazione l’uso di termini anglosassoni individua meglio l’oggetto della trattazione). Addirittura, un professionista della postproduzione cinematografica mi rivelava che in alcuni casi il sapore fotografico che la committenza richiede preveda che le aberrazioni ottiche siano inserite dopo lo scatto.
Artificialmente, se così si può dire. Ma questo è un vezzo stilistico che pur non condividendo in toto rispetto, perché funzionale al linguaggio. In ultima analisi, tale prassi deriva dal saggio motto “fare di necessità virtù”.
Un esempio fra tutti chiarirà immediatamente il concetto: la vignettatura. Effetto collaterale di obiettivi caratterizzati da ampia apertura diaframmatica, ci si è risolti a tramutare in opportunità una costrizione nel momento in cui la si è utilizzata – anche incrementandola in postproduzione – per accentuare la tendenza dell’occhio a convergere verso il centro dell’inquadratura.
Ma vi sono ambiti in cui il limite tecnico assurge a valenza negativa, e basta. Un esempio tristemente eclatante è quello dell’impiego anche generale degli obiettivi fish eye abbinati ad action cameras: troppo stesso m’è stato dato assistere a filmati realizzati da giornalisti che solennemente discettavano delle linee di automobili girandoci attorno brandendo un fish eye, con l’infedele esito documentativo che ne discende. Mi auguravo che tale nefasto fenomeno fosse destinato ad attenuarsi con il diffondersi di uno stabilizzatore meccanico a tre assi prodotto da una primaria azienda in abbinamento ad obiettivo rettilineare, ma l’impatto di tale soluzione non si è ancora manifestato estensivamente. Il fenomeno non è secondario, e conduce dritto al cuore di questo articolo.
Il nocciolo infatti è costituito da ciò: taluni topos visuali travalicano di gran lunga la banalità tecnica da cui traggono origine, per sortire effetti anche consistenti non solo nel linguaggio, ma anche nella percezione sociale del contenuto. Se infatti il parlare di linee mostrandole al contempo distorte (le automobili ritratte con un fish eye) denota una imperdonabile sciatteria (non impegnarsi abbastanza, utilizzando strumenti inadeguati), è possibile attuare un passo negativamente successivo sul terreno della mistificazione.
Questo passo consiste nell’uso improprio dello strumento denominato “chiarezza” nel gergo tecnico della postproduzione fotografica. Siamo così approdati alla esplicazione del titolo di questo brano.
Il comando Chiarezza (sul quale si agisce tramite cursore, e questo spiega l’allegata pittogrammatica illustrazione) è strumento delicato perché di ardua implementazione: tra i migliori programmi al mondo, ve ne è uno che soffre di alonica insorgenza se usato all’estremo dell’escursione positiva, un altro invece che risente meno di questa impostazione (il che rende la questione suscettibile di ulteriori trattazioni).
Ma ciò avviene a cagione di un fraintendimento comune tra i dilettanti: il comando Chiarezza non ha precipua destinatazione – al contrario di quanto credono loro – nell’esplorazione di valori positivi. Piuttosto, esso offre un valido supporto al servizio della “pulizia” della pelle (prassi che non approvo del tutto, na questa mia inclinazione non è rilevante) nel suo impiego per valori negativi, adeguatamente localizzati e mascherati. Il che non esclude per nulla un suo congruente impiego per valori positivi (impostazione verso destra del cursore), ma occorre avere essere ben consapevoli di presupposti, funzione ed esiti. Il comando Chiarezza, insomma, usato per valori positivi determina un incremento del contrasto sui toni medi.
Ci stiamo riferendo al macro contrasto, non all’accentuazione dei bordi dei singoli elementi. L’effetto può risultare accattivante, ma è di fondamentale importanza capire una cosa: esagerando, si imbocca la strada maestra verso l’immaturità
È questo il rischio maggiore che si corre, e che si fa patire a chi guarda: consegnare allo sguardo una immagine artefatta, che abdica al DNA documentario della Fotografia, come direbbe il Maestro Berengo Gardin. È purtroppo è più che un rischio: è ciò che frequentemente avviene.
Ecco perché mi sta a cuore il tema trattato in questo articolo: da una banale particolarità tecnica si può approdare a una prassi che influenza pervasivamente – anche in positivo, ma qui ho trattato il lato negativo – la percezione socioambientale.
Con ricadute anche profonde nella psicologia collettiva.
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