Quello Strano Decreto

Nonostante il periodo di pressante attenzione su fenomeni afferenti la salute fisica pubblica, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha trovato il tempo per emanare un DPCM che si occupa anche della salute morale dei suoi concittadini.

Ne estrapolo significativo stralcio: “(omissis) a partire dalla data apposta in calce al presente Decreto, è fatto divieto a qualsivoglia esercizio commerciale che affacci sulla pubblica Via di esporre manichini privi di celatura tessile delle pudenda, locuzione da intendersi individuatoria delle regioni corporali localizzate nell’area genitale di entrambe i sessi, ed in quella pettorale del solo genere femminile.

A proposito di quest’ultima area, si precisa che qualora la componente indumentale si sostanzi di capo d’abbigliamento con spessore inferiore a millimetri 3,5, è fatto obbligo integrare il dispositivo nasconditorio dello strato epidermico con manufatto comunemente appellato reggiseno, al fine di rendere inintellegibili  quanto a rilievo, pigmentazione e sagomatura i sottostanti – in numero di due – capezzoli (omissis)”.

Perché questo divertissement?

Qui abbiamo due eccellenti fotografie, di  Θωμάς Νεραντζης e di Paolo Lazzarotti.

Esse sono sopravvissute alle Forche Caudine degli Algoritmi Etici.

Algoritmi Etici?

Essi esistono ed incessantemente operano.

Quali espressione d’intelligenza artificiale, non conoscono ironia, ed avrebbero interpretato il summentovato decreto presidenzale come reale.

Nel caso delle immagini di Θωμάς Νεραντζης e Paolo Lazzarotti,  sono passate indenni al cospetto del censorio scrutinio degli AE poiché nel primo caso la nudità è surrogata da elemento materialmente incarnale, nel secondo un velo ha mediato la percezione visiva.

Ciò è accaduto in Facebook.

Verrebbe da dire che, sotto questo aspetto, i social network hanno fatto regredire la fruizione artistica a quando (1565) Daniele Ricciarelli armò il pennello di foglie di fico nella Cappella Sistina.

Come se niente di successivo al Concilio di Trento avesse disconosciuto le sue deliberazioni, ed insomma.

Il problema ruota attorno al concetto di forma e quello di sostanza, correlati alla dicotomia onestà/ipocrisia.

Il senso comune circa l’esposizione non privata di nudità permane evanescente, se mi concedete l’apparente ossimoro.

Ciò in quanto la nozione di pudore è un dato culturale, indi intrinsecamente soggetto a traslazioni, nel tempo e nello spazio.

È cioè sottoposto a dinamiche storiche.

A questo proposito può giovare riportare un aneddoto attribuito a Dante Alighieri.

In un tempio di culto, durante la celebrazione della liturgia – segnatamente al momento dell’ Elevazione – il poeta toscano sarebbe stato visto con il cappello in testa.

Essendogli stata contestata l’evenienza, avrebbe risposto che la sua trasgressione formale traeva origine da una dimenticanza dovuta all’estrema concentrazione nella preghiera, mentre chi l’aveva sorpreso a capo non scoperto con questo tradiva la sua irrispettosa disattenzione rispetto allo svolgersi della cerimonia.

Reputo il summenzionato episodio assai illuminante a proposito del rapporto sostanza/forma e onestà/ipocrisia.

E il modo d’interagire con l’arte ne costituisce una delle cartine di tornasole.

L’umanità costantemente agita i valori che si dà come in procelloso mare.

In questo frangente – in questi marosi – è importante le scelte siano ragionate, non demandate ad automatismi non atti a sviscerare profondità ed impatto di esiti e gesti.

 

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Claudio Trezzani

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