Pedalavo.
Una signora aprì lo sportello della sua automobile ed inavvertitamente mi gettò a terra.
Un Agente di Polizia Municipale mi disse che la suddetta aveva creato una “turbativa” (poco mancò l’annotasse nel rapporto).
Quanto ampio – quanto lo si vuole ampio – il ventaglio semantico di questo lemma!
Tanto che una turbativa può essere pure virtuosa, se si ama giocare con le cose, e lo si vuol fare in fotografia.
Il mio drone maestoso cavalca la distesa del mare, presto la mattina.
Il disco solare proietta una scia dorata sulla superficie acquea nervosamente increspata.
La scia è dolcemente ogivale, eppur perentoria.
Non prepotente, ma definita.
Qualcosa epperò turba sua finitezza.
Nega sua facoltà di proclamarsi elemento in sè conchiuso.
E’ lo strascico, lo scampolo di una arcuato isolato frangiflutti.
Doppio danno, si direbbe:
Il frangiflutti disturba la scia, la scia taglia il frangiflutti.
Epperò, no.
Anche quell’obliqua e nera “j” – quella musicale croma – è opera divina.
E’ lì a ricordarci che l’ordine è frammisto al caos.
E che è compito del fotografo giostrare con le cose.
Ruotare, analizzare, comporre misurando pesi.
Se formato quadrato vuole essere, l’olimpica quiete del taglio deve confrontarsi con il secco dinamismo del curvilineo tratto.
Sapendo che c’è si prova alternativamente sofferenza e gioia nell’attribuirgli posizione.
Un millimetro di troppo a destra, sofferenza.
Un decentrato equilibrio – sì, decentrato equilibrio – ritrovato, gioia.
Ecco, la fotografia.
Scavare, tentare, scavare ancora.
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Claudio Trezzani
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