Percorso/Meta/Interazione.

Autostrade.

Il modo sovente più efficiente per collegare due punti. Il fuoco è sulla destinazione, mentre il percorso risente di avulsità rispetto al territorio: si è sospesi in un tracciato che nega la palpabilità di ciò che si attraversa. Fenomeno ininfluente se interessa solo l’approdo finale; negativo se lo scopo era invece il viaggio. E questa avulsità come si declina e cosa esprime in fotografia?

Viaggio nella notte evitando l’isolazione autostradale, suggendo così succosi brandelli di ciò che m’attornia. Giunto alla meta e imbracciato gli strumenti di temporale fissaggio (reflex, drone), con quale tasso di avulsità potrò misurarmi? Per spiegarvelo sono andato a caccia di transatlantici, prima a Genova indi a La Spezia. Abbiamo qui tre fotografie.

Quella raffigurante la nave attraccata al molo soffre  gravemente di limitrofica eterogeneità, quasi incongruenza benché non estraneità: il transatlantico è accostato ad elementi distraenti, di caotica addizione, che stornano attenzione e remano contro la pulizia formale. E quella pila di container promette un universo cromatico che duplicemente nuoce: non mantiene la promessa celando compiutezza e nel contempo sottrae peso senza instaurare un dialogo esaustivo.

Si sarebbe potuto – l’ho fatto – limitare od escludere il vulnus arrecato dall’indesiderato stimolo periferico, ma a prezzo di una esasperata ratio nel rapporto tra i lati, che costringe l’esperienza visiva ad una innaturalità inquadratoria. Ecco un caso in cui l’avulsità avrebbe rappresentato un fattore positivo di isolazione, ma la circostanza non ne ha consentito piena esplicazione. Il percorso ostacolato è stato: isolazione/avulsità/astrazione.

Vi è purtuttavia qui una ulteriore fotografia nella quale l’abbraccio inestricabile della nave con il molo non sortisce i medesimi effetti di incompiutezza: si registra un continuum di linee generali, e anche la dinamica interna tra forme – pur complesse e polisemantiche – non trova netta cesura tra scafo e terraferma, nè  decisa soluzione di continuità. In sintesi: il più stretto abbraccio genera una osmotica fluidità interna che contribuisce a non indebolire la coesione generale.

Quando invece – stiamo trattando la terza fotografia a corredo di questo articolo – null’altro che acqua circonda la nave, l’interazione esterna non si pone, sgravando l’analisi di ogni possibilità di alienante interferenza. Avrebbe, a tal proposito, giovato l’assenza della pilotina che fiancheggia lo scafo del transatlantico?

No, perché senza di essa la fotografia si sarebbe privata di una storia (che avevo narrato in un precedente brano). Abbiamo così una avulsità ricercata (isolazione del soggetto) solo apparentemente inficiata da una avulsità smentita (la pilotina rimanda ad interazione).

Ma la questione si nutre del concetto di intersezione: ogni fotografia vede intrecciarsi in parallelismo o diversa angolazione e prospettiva piani di lettura differenti, con diversi gradi e sfaccettature di interdipendenza, in una partitura polifonica in cui le relazioni armoniche non escludono canti melodici e monodici.

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