Il Professor Stefano Corsi.
Professore lo è davvero, e non perchè il ruolo gli è riconosciuto dal Ministero di competenza.
Già, competenza…
Professore, Stefano, non lo è nemmeno solo per competenza.
Il fatto che sa un sacco di cose non basta a definirlo.
Gli è che Stefano è professore perchè ha una mente speculativa.
Il che significa che guarda dentro le cose.
Le rigira, poscia le colloca.
E vede i piani.
Conosce la letteralità e la figura.
Sa dove stanno il seme e il segno.
Su di una cosa, e tuttavia, Stefano capès nagòt, come si dice nella sua città nativa.
O g’ha i ogi dedré, l’espressione equivalente che si usa nella sua città adottiva.
Gli è che Stefano non riconosce il suo proprio – pur sbalzante in altrui percezione – talento.
In fotografia, ancora meno.
Non che gl’interessi soverchiamente.
La vaghezza di premere un pulsante mentre guarda cose lo punge in modo temporalmente rarefatto.
E non se ne cura, e fa male.
Perchè il talento lo possiede anche lì, non può non trapelare.
Così, in montagna.
Fissa su sensore una scena, ed è subito Tolstoj.
Tolstoj, e Dickens.
Apollineo, ma con dolente severità.
Direi instant classic, non fosse che troppi credono sia una roba di automobili.
Un Canaletto, piuttosto che un Turner.
Una giacca degli anni ’30, apicale espressione d’equilibrio e sintesi nel genere.
Una struttura armonica – fosse cosa suonabile – priva di false relazioni e con un rapporto tra consonanze e dissonanze del tempo in cui s’intendeva limitare frizioni.
Formato quattro terzi, il che – unitamente a lievi bruciature nel nuvolame e profondità di campo che va dal primo ciuffo d’erba all’infinito – mi fa sospettare l’utilizzo di turpe attrezzatura.
Conta niente, epperò.
A contare è l’istintiva sapienza.
Il gusto, forgiato dalla coltivazione della pianta/cervello, l’insistita palestra cui ha sottoposto il muscolo/meningi.
Oh, la cosa non è automatica.
In parte, è selettiva: il raffinato intellettuale riconosce eleganza anche in settori lontani dal suo sapere, ma non è detto sappia riprodurla.
Stefano, sa.
Anche se non ammette di frugare, Stefano fruga.
Una cosa che ha dentro gli scappa fuori, e la ritroviamo in un paesaggio.
Il sentiero è mirabilmente collocato.
Sì, collocato.
Stefano lo ha messo dove voleva, interrompendo il cammino in quel punto.
Non è al centro, rispetto all’erba.
Non lo è perché la curvatura a sinistra in fondo va sfogata.
Va sfogata facendo corrispondere il centro orizzontale – il verticale, è nella sezione mediana del secondo picco a destra – con l’estinzione alla vista del tracciato.
Così Stefano ha fatto.
Ed inoltre, in tal guisa si fugge da una pesantezza in campo mediano.
Sì, la neritudine a destra tenderebbe a prevaricare – nonostante il decentramento – gli erti pinnacoli dello sfondo, non fosse che il sentiero piega altrove.
In un altrove leggero, dal sapore vagamente umbro.
Ma, si badi, si tratta di millimetri, come direbbe il maestro Franco Razzini.
Ecco qui, la misura, il saper calibrare.
Il saper generare equilibrio.
Essere sottili, una via alternativa per essere potenti.
E’ una potenza grondata, stillata, non esplosiva.
Una chiesa romanica, di quelle di chi ha pesato e tolto propriamente.
La fotografia di Igor Kostin, ora.
Sempre strade, qui il percorso è sublimato.
Mirabilmente, sublimato.
Perché virtuosamente asservito.
L’armonia non giace più nella primigenia effettività.
Ciò che Igor ha trovato, ha piegato senza tradire.
Il monte si carica di una cogente diagonalità, così partecipa al grafismo.
La terra è lava inertizzata.
Lo è divenuta poichè ha dismesso materia in favor di geometria.
E il percorso riluce ove curva.
Metafora pensata o metafora colta, canta insieme alla generale economia.
Sì può non pensare più, ha già provveduto l’autore.
Dolce paradosso: Igor va per segni sovrapposti, mentre chi guarda può ondeggiar cullandosi nella plasticità del risultato.
Ricordate, righe fa avevo scritto che il Prof. Corsi ha una mente speculativa?
Ma non è forse più speculativa la via intrapresa da Igor, per come ridisegna cose nel più serio dei giochi?
Sapete, è come dicevo prima: una cosa che ha dentro gli scappa fuori, e lam ritroviamo in un paesaggio.
E parlavo di Stefano.
In questo, nessuna differenza tra Stefano ed Igor.
Ciò che si è, non si può non sversar traboccando.
E numerosi, e variegati sono i modi del trasfondere.
Rivestono forme, canoni consapevoli e non, moti più o meno rattenuti o temperati.
Ecco, la Fotografia: esperienza e psiche infondono intenti, più di quanto il colatore sospetti.
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Claudio Trezzani
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