L’insostenibile leggerezza dell’essere, pag. 70 della traduzione italiana per Adelphi.
Sabina è una pittrice uscita da una Accademia che considerava l’arte non realista un tentativo di sovvertimento del socialismo.
Sabina vi ci si conforma, dipingendo con fedeltà di tratto il cantiere di una acciaieria in costruzione.
Poi però del rosso trafila.
Pare una crepa, indi s’allarga.
E il realismo si restringe.
Con quella macchia lì, la scena non è più plausibile.
Sabina considera:
“Davanti c’era la menzogna comprensibile, e dietro, l’incomprensibile verità”.
Ecco, questa è la questione.
Fotocamera al collo, visitiamo un luogo già noto.
Essendo reale, reca i crismi della riconoscibilità globale e dell’individualità identitaria dei singoli elementi.
Ma noi ci curviamo, sui singoli elementi.
Ne estrapoliamo porzioni con inquadrature escludenti, oppure elidiamo contorni traverso sfocatura.
La sdraio ed il muro sono mondati della funzione utilitaria, parlano tra loro per forme e colori.
La barca è ridotta a sigla.
Il bordo laminato a grafismo.
La catena a fluttuazione.
La scrostatura a disegno.
L’ombra a composizione.
L’anello a scultura.
Sì, le sette fotografie a corredo di questo brano.
Riduzioni verso astrazioni.
Purificazioni chi si spogliano di segni per assumerne altri.
Dall’incomprensibile verità alla comprensibile menzogna, o viceversa.
È un cammino sul filo della riconoscibilità, o della proteiformità semantica.
In fotografia scegliere implica suggerire direzioni.
E nessuno sa prima la meta.
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Claudio Trezzani
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