Un manufatto edilizio.
Attorno, cose.
Disturbanti cose.
Le avesse il drone incluse, sarebbe stato colpevole di severo nocumento alla pulizia formale.
La prospettiva zenitale avrebbe infatti disvelato automobili parcheggiate con ordine endogeno anziché esogeno.
I guidatori avevano cioè collocato le loro vetture con rispetto sì della segnaletica terrena, ma in posizioni rispondenti ai fini di ciascuno.
Stesso orientamento in dipendenza delle strisce segnate, ma disposizione a scacchiera imperfetta e a macchia di leopardo.
Così, avendo tali elementi nella porzione periferica del fotogramma, si sarebbe assistito ad una geometrica disomogeneità, che avrebbe per corollario recato una infelice pesatura.
Ovvero una imperfetta orchestrazione.
Di più: avrebbe anche incluso pali, o peggio: d’essi porzioni.
E anche rimanendo all’interno del manufatto vi erano criticità.
Ad esempio, condizionatori esistenti su di un solo lato al di fuori della forma generale (oserei definire riassuntiva).
Qui – nella fotografia che il tetto consegna ad uno sfondo chiaro – invece si ha sì una presenza superiore che non trova corrispettivo inferiormente, ma è un navigare all’interno di un assetto in sé conchiuso.
Nell’immagine su sfondo scuro, peraltro, si introduce un certo tasso di concitazione, ma che non è alieno da saldezza distributiva, determinata dall’ancoraggio di fattori graficamente regolari e simmetrici.
Intendo: le tegole sono adagiate in ordine sparso, ma hanno una valenza ancillare rispetto alle ordinate travi.
Come mare agitato su molo, dunque.
Il concetto complessivo è, lo si voglia ridurre a slogan: apparente disordine sì, ma all’interno.
Avere inserito nell’inquadratura gli oggetti che sopra menzionavo, avrebbe innescato l’insorgenza d’indesiderate spinte centrifughe.
Lasciare che del dinamismo si sfogasse entro un definito perimetro ha invece cagionato la governabilità del movimento.
Sì, governabilità del movimento.
Così è sempre, in fotografia: forze agitansi, al fotografo il compito di tenere la barra senza farsi sopraffare dal vento.
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Claudio Trezzani
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