“[…] la bellezza estetica con tutte le sue ombreggiature, i suoi chiaroscuri che permettono alla fantasia di leggervi le immagini più diverse […]”
Ho estrapolato da una recensione d’arte?
No, è tratto da un articolo che descriveva il legno di radica montato su di una Rolls Royce.
E allora?
Allora l’umano reca in sé propensioni e dotazioni – sensibilità – che trascendono l’ambito e la specializzazione.
Sapete, un classico esempio di pareidolia è ravvisare forme animali nelle nuvole.
Ne ho vista una in cui comune percezione convergeva verso l’individuazione di un cavallo imbizzarrito, ogni sua parte ben definita e caratterizzata.
Certo gli artisti sono particolarmente a ciò versati.
Con un potere in più, ove si tratti di letteratura (la tabula rasa che è far sorgere eventi dalla mente).
Ma qui ci occupiamo di cose vedute.
Scultura e pittura condividono con la letteratura la facoltà di principiar da tabula rasa, ovvero piegare il reale esterno al reale proprio.
Il pittore Giuseppe Biagi fa più della pareidolia: più ch’evocare, mostra.
Sublime trovo il pensiero fattosi materia della scala su tronco innestata.
Trae forza, non implausibilità – categoria estranea all’espressione astratta – dalla circostanza che una scala non potrebbe esser lì, eppur vi è.
E vi è senza funzione, altra gioiosa potente peregrinità, non fosse il segno prepotentemente signore sopra il raziocinio.
Ed è segno, tratto, gesto a sostanziare l’alto esito: è la manufattile operazione a pregnantemente coniugare intenzione e risultato.
Noi fotografi non abbiamo questa – ardua da condurre a compiutezza, e qui Giuseppe ben ci riesce – libertà.
Noi possiamo condurre l’occhio di chi guarda a condividere sensazioni.
Sensazioni originate da quella suspension of disbelief che gli eventi mi costringono a reiteratamente citare.
Con una variazione concettuale, però, qui.
Mi riferisco alla fotografia dronuale a corredo di questo brano.
Chi guarda non concluderà che la cascina assomiglia a qualcos’altro, o che qualche mentale associazione riguardi i presenti attrezzi agricoli.
No, qui siamo al cospetto di un diverso, peculiare tipo di pareidolia: non c’è cosa che ne ricorda un’altra, bensì cosa che sembra riflesso di cosa.
Ovvero: non traslazione oggettuale, ma suo processuale prolungamento.
Vedete le strisce di colore più scuro nei campi coltivati subito attorno l’edificato plesso?
Sì, proprio quelle lì.
Ebbene, sono ombre.
Sì, lo so che lo sapete che non lo sono.
Ma l’effetto è quello, anche Voi Vi sarete lasciati intrigare dalla suggestione.
Ecco, una paeridolia non tra cose, ma tra connessioni pseudofunzionali di cose.
Ed insomma, il mondo gira.
No, non intendo astronomicamente.
Attorno a noi, gira.
Siamo noi a infondere emozioni nella delibazione del veduto.
La fotografia, riverente, assiste.
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Claudio Trezzani
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