Una doppia astrazione in una doppia documentazione.
Come è possibile una cosa così?
Perchè una cosa o è riconoscibile o è resa astratta, le due ipotesi si escludono a vicenda.
Qui, no.
Perchè sia nella fotografia di Reacto Carbon che in quella di Nina Papiorek vi è l’edificio, che è riconoscibile come tale eppure reso astratto.
E l’uomo, che è parimenti individuabile nella sua sua essenza e nello stesso tempo virtuosamente reificato.
Virtuosamente reificato perchè è fatto cosa nel felicemente collaborare al disegno.
Nell’immagine di Reacto il tripudio è sia nella grafia che nel colore.
Una lussureggiante trama che le cromie esaltano in profondità.
E il solitario passeggiatore?
Non spezza, contrappunta.
E contrappunta senza contraddire.
Conferma direzione, indica proporzione.
L’opera di Nina, ora.
Sublime, trovo.
Perchè è arduo imbattersi in uno scenario sì finemente prosciugato.
Giusto la linea spezzata, e il grigio a distinguere dal bianco.
Distinguere, non separare.
Ancora una volta, l’allusione alla bidimensionalità è carezzevole eppur icastica.
La forza tranquilla di un grafismo vigoroso ma non prepotente.
Ed ancora, l’elemento umano.
Magistrale la collocazione, il caso ha congiurato con l’impegno.
Ignari coprotagonisti, i due.
Sapete, fare piccolo l’uomo presenta rischi.
Lo si può dipingere inadeguato o tremebondo, così.
Non qui.
Qui si ha la misura di un ruolo.
Non soverchiante, non irrilevante.
Chi sta scrivendo ama i piani assai ravvicinati di volti, ne realizzo a decine di migliaia.
Ma l’umano ha anche altri compiti, qui efficacemente esplicitati.
Come diceva Albert Einstein:
Un essere umano è parte di un tutto che chiamiamo “universo”, una parte limitata nel tempo e nello spazio.
Sperimenta sé stesso, i pensieri e le sensazioni come qualcosa di separato dal resto, in quella che è una specie di illusione ottica della coscienza.
Questa illusione è una sorte di prigione che ci limita ai nostri desideri personali e all’affetto per le poche persone che ci sono più vicine.
Il nostro compito è quello di liberarci da questa prigione, allargando in centri concentrici la nostra compassione per abbracciare tutte le creature viventi e tutta la natura nella sua bellezza.
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Claudio Trezzani
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