L’assunto è degno del Marchese De La Palisse: per lavorare al buio bisogna raggiungerlo, il buio.
Salto di fiume, di notte.
Per arrivare ad uno sperone di roccia che lambisce il tratto ove l’acqua si produce in un vorticoso incedere dovuto al dislivello, occorre camminare su di un sentiero immerso nell’oscurità.
Un torcia elettrica brandita a mano illumina il tratto sterrato subito davanti i miei piedi.
Giunto a destinazione la torcia viene posata a terra accesa, onde gettare un qualche fioco chiarore sui preparativi fotografici.
Si posiziona lo stativo e si regola la messa a fuoco.
Già, la messa a fuoco.
Lo schermo della mirrorless, oltre a poter simulare l’effetto dell’esposizione che s’imposterà, ho regolato in modo che mostri la distanza dal soggetto in metri sia in modalità automatica che in quella manuale.
Un aiuto non trascurabile, quando si è in un luogo immerso nelle tenebre.
L’otturatore è in posa Bulb, inizio e fine della cattura saranno governati da remoto tramite app installata su smartphone.
Ciò che segue è consueto per chi pratica il genere: notte trasformata in giorno mercé l’otturatore lasciato aperto per svariati consecutivi minuti, e/o graduazione della situazione apparente.
La sessione è conclusa, è ora di sbaraccare.
Ma la torcia…
Sì, la torcia.
Da mero oggetto utilitario per finalità terza, si è trasformato in protagonista della composizione.
Il suo raggio fende l’oscurità, e rende desiderabile tornare una seconda volta nel sito per estrarre le possibilità espressive che la sua azione determina.
Ecco, al solito, la fotografia: una virtuosa alleanza tra intento e caso.
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Claudio Trezzani
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