In “Il Pensiero Inconscio” citavo Karl Evver che citava Friedrich Hegel che citava Friedrich Schiller.
Sulle cose della testa che s’annidano negli oggetti del mondo sensibile, citavo.
La Spettabile Ditta Optar in quel della milanese Piazza Borromeo negli anni cinquanta e sessanta la pensava diversamente.
Anzi, pensava che non va bene pensare.
E come aveva ragione!
Perché penso anch’io che per pensare meglio occorre non pensare.
Abdicare al pensiero per un escatologico fine ultimo del pensiero istesso.
No, non sono sofismi.
E’ vita vissuta nell’attimo, nella concretezza di un esito conseguito o negato.
Sapete, succede così anche in automobile.
Cambio automatico per meglio concentrarsi nella guida, e non è solo una faccenda di avere entrambe le mani sul volante.
La partita essendo: non pensare alle cose prosaiche per pensare meglio a quelle importanti.
Invece di vangare il moquettato tunnel agitandosi su di una fallica leva, aver tutta l’attenzione riservata al dinamico andamento di ciò che accade fuor della nostra semovente scatola di latta.
Non è uno scherzo: può far la differenza tra vivere e morire.
Colle fotocamere, lo stesso.
Chi comprava la Zeiss Symbolica già apprezzava l’affilatezza del Tessar.
Ma i fotogrammi “razor sharp” (come dicono gli anglosassoni) che restituiva avrebbero potuto risultare sottoesposti o sovraesposti.
O esposti correttamente, ma insignificanti.
Con la “tecnica invisibile” – gli automatismi di regolazione – non più.
E’ sempre quella roba lì dei mezzi e dei fini.
Per essere veramente liberi, occorre sbarazzarsi della zavorra.
Liberi di condurre il pensiero ove s’anela farlo, non schiavizzarlo a prassi.
Se hai da fare troppe cose, l’attimo sfugge.
Se pensi troppo al come, il pensiero istesso, fugge.
Meglio nudi, alla meta.
E no, non come nell’omonimo film – virante traduzione di I’m All Right Jack – con Peter Sellers.
Piuttosto, concentrati su ciò che conta.
Ed è l’espressione, a contare.
Infondere vita, null’altra distrazione che un indice calato su di un pulsante.
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Claudio Trezzani
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