Sì, siamo in Nocsensei ma il titolo riproduce la ragione sociale del negozio di Ryuichi.
Perché?
Perché abbiamo materiale da esaminare per discutere su quanto ha appena detto Jonas Rask.
Che scrive: “the out-of-focus areas are so smooth, and so well handled with transitions from in-focus to out-of-focus being some of the best I’ve ever seen with any piece of photographic gear (Yes this include the mighty Pentax Takumar 105/2,4)”.
“le aree sfocate sono così lisce e così ben gestite con le transizioni da a fuoco a fuori fuoco che sono tra le migliori che abbia mai visto con qualsiasi attrezzatura fotografica (Sì, questo include il potente Pentax Takumar 105 / 2,4) “.
Jonas si sta riferendo al Fujinon GF 80mm f/1,7 R WR presentato in concomitanza con la nuova (un modello assai interessante per vari aspetti) GFX 100 S.
Quanto al vecchio Pentax 105/2,4, si dà il caso che nel corso del tempo ci abbia fatto un sacco di rollini con vari… sensori (pellicole bianconero, colore, diapositive).
Visto che Jonas incentra la sua attenzione sulla qualità di transizione tra aree a fuoco e non (una delle principali ragioni per cui personalmente prediligo il medio formato) un po’ di matematica potrà giovare.
Essa non può addentrarsi nelle caratteristiche – ergo, nella personalità – ottiche dei due obiettivi, ma può rivelarci qualcosa sull’entità di profondità di campo possibile alle sue lenti nelle situazioni più usuali (dunque senza considerare la minima distanza di messa a fuoco d’esse).
Vediamo dunque la diversa frequenza spaziale che si determina abbinando i due obiettivi a superfici sensibili di diversa superficie.
Il Takumar 105/2,4 è abbinabile alla Pentax 67 e 6X7.
La superficie sensibile ammonta dunque a 60 X 70 mm.
Il Fujinon 80/1,7 può essere montato, oltre che sulla nuova GFX 100 S, anche sugli altri modelli della casa che condividono la taglia del sensore: 32,9 X 43,8.
Come si nota, la ratio (rapporto tra i lati) tra i due formati non coincide, e in tal senso l’uno o l’altro potrà risultare o meno vantaggioso a seconda delle abitudini degli utilizzatori (proclivi a inquadrature allungate piuttosto che “quadrotte”, come si dice simpaticamente in gergo).
Qui però non ci stiamo occupando di risoluzione, ma di rapporto d’ingrandimento, che non muta se è solo un lato a variare.
Così vediamo che il fattore di moltiplicazione tra i due formati s’attesta su di un valore di 2,9.
Se teniamo in considerazione che la focale maggiore – prima della ripatametrazione al formato – lo è rispetto ad un fattore di moltiplicazione 1,31 e l’apertura minore lo è di 1,41, se ne evince che la notevole differenza di estensione della superficie sensibile delle due diverse famiglie di fotocamere abbinabili compensa largamente le diverse misure di focali e aperture relative di diaframma, ai fini della profondità di campo.
La conseguenza di tutto ciò, brutalmente e genericamente enunciata, è:
Il 105/2,4 sfuoca di più dell’80/1,7.
Si torna così all’enunciato di Jonas Rask.
Alla luce di quanto verificato ora possiamo affermare che il vecchio obiettivo esprime una frequenza spaziale più favorevole che favorisce la gradualità delle transizioni focali, ma cio non prende in considerazione, oltre allo schema ottico, le caratteristiche del diaframma (più importante la forma del numero di lamelle, ad esempio).
Dunque, quantità e qualità.
E i risultati sul campo?
Sono qui per essere giudicati con le due fotografie a corredo di questo brano.
La prima si deve allo Staff di DP Review, la seconda ad un mio scatto con il Pentax Takumar.
Dopo la matematica, la poesia: quale dei due obiettivi è più lirico?
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Claudio Trezzani
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