Barca resa pontile.
L’uomo ciò fece, in seconda battuta.
Prima utile per transito, indi utile per sosta, il natante.
Poi il drone stravolse.
Sì, stravolse.
Dopo il suo passaggio, il manufatto reca una ineludibile necessità.
La necessità di essere verticale.
Sì, a partire dalla ritrazione zenitale del drone, questa forma umanamente tracciata non può più adagiarsi.
Nè inclinarsi.
Ora e per sempre – il per sempre della fissazione fotografica – questa immagine è imprescindibile da una visione eretta.
Ed è una necessità informe, nella forma.
Informe nella forma?
Sì, perchè pur non potendo più assumere diverse prospettive – è la cogenza percettiva a sancirlo – il fatto che l’orientamento sia definitivamente definito non riveste una necessità corollarica.
Non riveste la necessità corollarica di essere qualcosa d’univoco.
Verticale sì, ma poi qualsiasi cosa vogliamo.
Una cattedrale, un puntuto e ligneo gotico dell’Est, qualcosa di devozionale, votivo.
Oppure niente.
Un niente di ricchezza superiore al definibile.
Sapete, talvolta nella nautica mercantile l’applicazione di determinati colori ha una ben precisa funzione pratica.
Parlo di pitture, non segnali.
Estinto il primigenio scopo, tutto serve a danzare.
A danzare, e cantare.
Tutto s’offre alla nostra immaginazione.
La quale – come accennavo – dopo aver scelto e sentito cogente la prospettiva, può navigare in qualsivoglia direzione.
Ecco, la fotografia.
Una pluralità di scelte.
Prima, durante, dopo.
E ogni ulteriore, illumina.
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Claudio Trezzani
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