Il drone e la montagna.
Binomio tanto affascinante quanto insidioso.
Il drone si nutre della comunicazione con i satelliti in cielo (GPS, Glonass, Galileo).
Essa è il presupposto imprescindibile della sicurezza in volo.
Perché se sa dov’è, il drone può mettere in atto le procedure per mantenere stabilmente la posizione.
In montagna la ricezione satellitare tende ad essere fallace.
Se manca del tutto, il drone è in balia del vento.
Sapete, il sostare (hovering) al drone non risulta naturale: l’aere è percorsa da correnti e lui è leggero.
Quando lo vedete fermo, non credete stia sonnecchiando.
Tutt’altro: fa continuamente un sacco di cose, e le compie con disperata energia.
Il mantenimento, costa.
Le eliche non girano alla stessa velocità.
Attimo dopo attimo il software deve dire a ciascun motore quanta corrente erogare per compensare le spinte eoliche.
Torniamo alla montagna, ora.
Ci siamo arrampicati entro una stretta gola.
D’un tratto il torrente che ha scavato i pendii si produce in una spettacolare cascata.
Tutt’intorno è pieno d’abeti e sterpi che si protendono con irregolare distribuzione verso la liquida superficie.
Il Dio Eolo ostinato soffia.
Abbiamo acceso il drone.
Dopo i controlli di rito, l’applicazione ci segnala l’assenza di satelliti agganciati.
Oppure ce ne segnala giusto una manciata, ma il software non intende attivare la navigazione geoassistita.
Intanto controlliamo la temperatura delle batterie.
Sappiamo che non è bene decollare al di sotto dei loro venti gradi, e che una differenza di tensione tra celle che superi le tre o quattro unità induce a sospettare circa l’integrità del componente, e dunque del suo comportamento in volo.
È passato del tempo, abbiamo atteso – con il veivolo a terra e le eliche in rotazione – che la batteria raggiungesse la temperatura consigliata.
Eppure, ancora nessuna conferma di pilotaggio semiassistito.
L’esperienza c’insegna che elevando di poco il drone potrebbe accadere che il segnale sia ripristinato.
Ma l’esperienza ci dovrebbe insegnare una cosa ancora più importante: se ciò non accade subito, il rischio che il drone si schianti è concreto.
Non che non lo si potrebbe correggere con i comandi, questo è possibile.
Con i joystick possiamo contrastare la spinta del vento, certamente.
Ma se la folata è subitanea e la parete rocciosa è vicina, vince prima Eolo, o Nettuno.
Ovvero: il drone si è infranto su di un masso, o è ormai in acqua.
Tutto questo non è successo, bene.
Ma non è finita qui.
In cinematografia lo stesso drone ha due guardiani.
Quello che conduce, e quello che ritrae.
Colui che realizza filmati ha per angelo custode il collega che impugna i comandi.
Veniamo al filmato a corredo di questo brano.
Il drone è a portata della mia vista.
Lo sguardo prima del decollo si è soffermato su ogni naturale (ma non dimenticate eventuali cavi, ve ne sono anche in quota) protusione.
Nessun ritorno predeterminato.
Un cauto riavvicinamento, ogni aspetto considerato.
Non secondaria la conoscenza e l’esame delle luci di navigazione:
anche di giorno, esse risultano percepibili prima dei particolari di sagomatura del mezzo.
Di conseguenza, sapere collocazione e colori delle segnalazioni luminose aiuta ad individuare tempestivamente
il verso orientativo del velivolo.
Il drone è tornato illeso.
Ma noi, non illudiamoci.
Migliaia di ore di pratica, per sentirci un poco meno inesperti.
E per essere consci che, nonostante ciò, l’incidente aleggia ancora come una damocleica spada.
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Claudio Trezzani
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