L’universo in un borgo

Campanili.

Liti feroci, sotto campanili.

L’arciprete s’azzuffa con l’arcifittavolo: non dovevi costruire una torretta più alta del campanile, dice il primo al secondo.

Perché dico ciò?

L’architettura reca valenze simboliche.

Il potere confessionale aveva cura di mantenere il primato su quello secolare onde coniugare potere temporale e potere spirituale.

E ciò passava anche attraverso messaggi visivi.

In questo borgo il campanile è l’edificio più alto, il primato è salvo.

Il campanile è fatto per essere veduto, e si vede bene sin dal sagrato.

Lo sappiamo, il drone permette anche d’esplorarne i più intimi elevati recessi, ma non è questo l’argomento principe di questo articolo.

Serve invece qui sottolineare che la ritrazione non ha fatto altro che confermare volontà.

La volontà che il committente aveva di ottenere una visibilità veicolante contenuti.

Ma nel paese sede di questo campanile s’annidano – concentrate – altre variegate – divergenti, persino – istanze.

Eccoci approdati a “L’universo in un borgo”, il titolo apposto a questo brano.

Poco discosto abbiamo l’anfiteatro.

No, non è un anfiteatro.

E’ un meraviglioso manufatto ad uso agricolo.

Meraviglioso se visto da prospettiva dronualzenitale.

Nessuno mai lo vide così, quando fu realizzato, e non si pensava ciò dovesse mai accadere.

Ma visto che è successo, la composizione è divenuta eminentemente grafica.

Strisce di trattore su campo, è la terza immagine.

Oh, per veder qualcosa già in passato bastava una scala alta – meglio, una gru – pur senza poter apprezzare il disegno complessivo.

Ma – è questa la differenza sostanziale in codesta progressione concettuale – quei segni sul terreno sono un prodotto di scarto, fisicamente come metaforicamente.

Non fatti per essere visti,ed anzi neanche fatti tout court, nel senso che il trattorista pensava a guidare, non ad artisticamente scolpire la superficie di lavoro.

Sorta di segni di Nazca involontari, ove l’esito prescinde dal processo generativo.

Infine, i canditi.

No, non sono canditi.

Eì roba di cava, solo enfatizzata e virata nelle cromie.

Quintessenza dell’involontarietà, questa qui.

L’uomo alla ruspa accatasta, non vede il risultato, non conta il risultato.

Anche perché è un risultato che non è un risultato: è mero corollario dell’azione estrattiva.

Che nessuno vedrà dall’alto è problema che nemmeno esiste nell’economia dell’atto.

E invece il drone passa attraverso le quattro fasi:

  • cosa fatta per essere vista
  • cosa non fatta per essere vista, ma ancora apprezzabile nel potersi – postumamente – vedere.
  • cosa assimilabile ad antichi misteri per esito, non certo per scaturigine.
  • cosa in cui lo iato tra generazione e viraggio percettivo è profondo.

Ecco, così le quattro fotografie.

Solo il drone permette ciò.

Vola alto sulla evidenziando volontà e dispensando volontà all’involontarietà.

Prima di lui, nessuno.

 

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Claudio Trezzani

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