Non sono mai stato sull’altopiano andino.
Dovrei, epperò.
Per buttare del cibo in una fossa, indi metterci sopra una pietra.
Per rendere omaggio a Pacha Mama, eccioè.
Pacha Mama?
Sì, la Dea della Terra.
O Demetra, se vogliamo parlare della sorella di Zeus.
O Cerere, stando con gli antichi romani.
Roberto Bressan s’inserisce nel solco.
Lo incide, il solco.
Sapete, fa una cosa contraria a quella che sovente ho appellato reificazione.
Mentre nella reificazione l’umano è reso cosa per collaborare ad una visione olistica, ad una fusione controllata, la fotografia di Roberto reca la solennità – ma carnale, pulsante – di un tributo elargito.
La donna è di bronzo.
Il collo – tornito, teso, torto – lo è.
Una tonalità levigata che abbina una michelangiolesca plasticità ad una luminosa voluttà.
Una scultura che fervorosa si protende – d’affilato dinamismo il taglio dei capelli – e santifica il suolo.
Essere parte di un tutto, osmoticamente intridersene.
Amarlo, celebrarlo.
La Fotografia, può.
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Claudio Trezzani
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