L’isolazione a focale inversa

Fiume.

Su di esso tronco.

Prenderlo tutto, nel senso d’abbracciarne l’interezza inquadratoria.

Tra le due fotografie a corredo di questo brano, lo fa quella effettuata con un supergrandangolare.

Ma siete sicuri che è un supergrandangolare?

No, la focale è 35 mm sul formato Leica.

Non parrebbe, nevvero?

Non lo si direbbe in quanto la composizione abbraccia un esteso angolo di campo apparente.

Angolo di campo apparente?

Tecnicamente il concetto non esisterebbe: i gradi, la diagonale, interfacciati all’entità del supporto sensibile, quelli sono.

Eppure il concetto di angolo di campo apparente è ammissibile nella misura in cui contenuto e disposizione d’elementi possono indurre l’occhio umano ad interpretazioni errate, a questo riguardo.

Poi c’è l’immagine ottenuta a 190 mm.

Orribile, indecente, degna di un museo d’orrori.

Perché lo affermo?

La faccenda è quella sunteggiata nel titolo di questo articolo: “L’isolazione a focale inversa”:

L’isolazione a focale inversa?

Sapete, la così appellata Pulizia Formale è ordinariamente ottenuta mediante isolazione.

E l’isolazione è correntemente attingibile “stringendo” l’inquadratura, allo scopo di escluderne elementi di disturbo.

Qui avviene il contrario.

Per angoli di campo estesi, il tronco adagiato in acqua gode di attorniante agio.

Attorniante agio determinato dalla neutralità – dalla dolce sericità – della distesa acquea.

Nella fotografia a focale 190 mm, invece, le nefandezze visive provengono dallo sfondo:
esso non è più “distaccato” dal tronco, e reca pornografiche grevità, consistenti nella pesantezza e sovrabbondanza di elementi indesideratamente definiti, eterogenei tanto tra loro quanto rispetto al medio campo divenuto primo, che è il soggetto della composizione.

Dunque, il paradosso: una focale corta che consente un certo grado di prosciugamento, nella direzione di una essenzialità formale; per converso, una focale lunga che porta una sgradevolezza affastellatoria, dono avvelenato della compressione planare.

Così in fotografia come nella vita, nell’infinità articolazione del visivo scibile: il rapporto tra mezzi ed esiti non è univoco.

Suscita sconcerto ciò?

Piuttosto, il lirismo che alligna in ogni attonicità possibile.

La poesia dell’imprevedibilità, ed insomma.

 

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Claudio Trezzani

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